Così hanno deciso le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 16379 del 17 luglio 2014

Niente annullamento delle nozze da parte del giudice italiano se la convivenza si è protratta per almeno un triennio dalla data di celebrazione del matrimonio concordatario. Così hanno deciso le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 16379 del 17 luglio 2014, chiamate a dirimere il contrasto sulla delibazione degli annullamenti dei matrimoni da parte della Sacra Rota, pronunciandosi sulla questione se la protrazione ultrannuale della convivenza sia ostativa alla dichiarazione d'efficacia della sentenza di nullità del matrimonio pronunciata dal giudice ecclesiastico e in presenza di quali vizi operi tale preclusione.

Ripercorrendo i principi tutelati dalla Costituzione, dalla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e analizzando i rapporti tra il diritto interno e quello canonico, alla luce dei Patti Lateranensi del 1929 e dei successivi Accordi del 1984, il Supremo Collegio è pervenuto alla decisione che la convivenza, avente i caratteri della riconoscibilità e della stabilità, è elemento essenziale del "matrimonio-rapporto", per cui il giudice interno è impossibilitato a "delibare" le sentenze del tribunale ecclesiastico qualunque sia il vizio genetico previsto e accertato dall'ordine canonico.

In particolare, ha sottolineato la Corte: "la convivenza dei coniugi connotata dai più volte sottolineati caratteri e protrattasi per almeno tre anni dopo la celebrazione del matrimonio

, in quanto costitutiva di una situazione giuridica disciplinata e tutelata da norme costituzionali, convenzionali ed ordinarie, di "ordine pubblico italiano" secondo il disposto di cui all'art. 797, primo comma, c.p.c. osta alla dichiarazione di efficacia nella repubblica italiana delle sentenze canoniche di nullità del matrimonio concordatario".

Quanto al requisito temporale, ha precisato la S.C. che "il criterio dei tre anni successivi alle nozze" è da ritenersi "requisito minimo presuntivo a dimostrazione della stabilità del rapporto matrimoniale".

Cassazione Sezioni Unite Civili, testo sentenza 16379/2015

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