I casi di cronaca nera che, quotidianamente, si verificano nel nostro Paese coinvolgono sempre di più l'opinione pubblica. Tutti, anche l'uomo comune, indossano ora la veste di Giudice, ora di Magistrato Inquirente, ora di Avvocato. 

Ma non è facile in tragedie disumane giudicare, esprimere una propria opinione adducendo come errato l'operato di chi va alla ricerca della Verità, di quel movente che ha scatenato così tanta efferatezza cancellando, in un niente, i veri sentimenti della Vita. 

E' un lavoro minuzioso dove niente deve essere lasciato al caso. Spesso non ci si sente all'altezza del compito che si è chiamati a svolgere. In tali situazioni i sentimenti bisogna metterli da parte perché la professionalità richiede ben altro: per esempio fermezza nell'individuare - per me che sono avvocato - la linea difensiva migliore. Al colloquio con l'indagato occorre avere tatto, ma soprattutto occorre saper ascoltare e ragionare per giungere a capire qual è stato il movente che ha spezzato il rapporto di dignità di vita civile tra le persone coinvolte. Occorre, quindi, con convinzione cercare un equilibrio per giungere alla ricerca e alla narrazione della verità dei fatti. Certamente per la magistratura inquirente e la difesa non è un iter facile: occorre tenacia, riflessione, sapersi ben destreggiare con i vari documenti ed elementi che si hanno in mano; facendo grande attenzione per la difesa ad essere abile nel non scoprire le carte. E' questa la professione dell'avvocato che non si forma solo con l'uso dei codici, delle sentenze, ma soprattutto con l'ascolto, con l'andare alla ricerca di quegli elementi che fanno reggere la strategia difensiva.

Per questo ritengo che nessuno debba ergersi a Giudice, Magistrato Inquirente, Avvocato, Criminologo… tutte figure queste che si muovono alla ricerca della Verità.

Nessuno,  di fronte a simili tragedie, ha diritto di incattivirsi sostenendo come condanna migliore la pena di morte. Dietro ogni caso di cronaca nera alla base c'è sempre un motivo, molto spesso futile, che ha scatenato il raptus omicida, una condizione che ha trasformato l'uomo, essere razionale, in un mostro - lasciatemi passare il termine - irriconoscibile portandolo a sterminare le persone, spesso più care, quelle con le quali ha condiviso momenti felici e, nel contempo, ad annientare e a far cadere nell'oblio la propria vita, la propria immagine.

I casi di cronaca nera, spesso, vengono affrontati nei salotti televisivi che diventano una sorta di Tribunale dove non ci si limita a discutere con persone esperte di crimini, con gli addetti ai lavori, ma coinvolgendo addirittura i protagonisti di questi tremendi fatti e chiamando in causa l'opinione pubblica. Per questo mi chiedo costantemente la  vox populi che peso ha nella soluzione di queste tragedie?  Negativo direi.     

Non è corretto giudicare sulla base di uno sguardo, di un'immagine senza conoscere i fatti, i motivi, la vita di chi ha commesso tali tragedie appellandoli con tanta semplicità come mostri, assassini…

Neppure il nostro ordinamento lo prevede,  difatti il Legislatore ha  sancito la presunzione di innocenza e all'articolo 27 della nostra Costituzione  si legge che "L'imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva".

Occorre, difatti, passare per i tre gradi di giudizio; un lungo iter per essere appellati assassini!

 

A chiusa di queste brevi riflessioni ritengo che sia giusto far conoscere i casi di cronaca nera del nostro Paese, ma nel pieno rispetto e tutela delle persone coinvolte, senza dar peso alla vox populi che si limita con grande facilità a mettere alla gogna la vittima e le persone che lo circondano.

Facciamo sì che i processi si celebrino nella sede opportuna perché è lì che deve trionfare la Giustizia, anche se ultimamente  trionfa sempre più a fatica a causa di poca chiarezza e certezza.

Avv. Luisa Camboni
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