di Roberto Cataldi

È davvero difficile trovare la causa scatenante della crisi della giustizia in una nazione, anche perché spesso sono queste stesse cause scatenanti a riflettere i drammi della nostra società. Novantanove volte su cento è uno di quei tasselli che non s'incastrano, nel puzzle dell'ordine etico ideale della società, a contaminare questa traballante, farraginosa, troppo spesso incomprensibile giustizia italiana.

Il popolo italiano, "The Fox Populi" - mi si scusi il neologismo anglo latino - languisce in preda alla fame di tecnologia hi-tech che avanza indomita, seminando scempi di cervelli sempre più vuoti con hard disk sempre più memory full. 

E si sente "minacciato". 

Ma la minaccia da chi arriva? Tutto quello che ci propinano ad ogni pasto le principali testate giornalistiche televisive ci rende insicuri: stragi familiari, femminicidi a catena e ingiustizie croniche; la continua evoluzione o involuzione del sistema comporta poi continui e pressanti cambiamenti e crea instabilità.

La cronaca, invece, quella funziona sempre. Spaventa, ma farne a meno sembrerebbe davvero impossibile, quasi come la tecnologia che avanza. E fa rimpiangere alla gente comune la vecchia legge del taglione. Troppi omicidi inumani e impuniti - raramente sono "umani" e altrettanto raramente vengono puniti - e troppa violenza. Proprio in queste settimane siamo tutti sconvolti dal caso Yara, dal DNA del suo presunto killer e dalle piste seguite dagli inquirenti, che ricordano i fasti dei migliori film di Dario Argento. Per non parlare dell'uomo che fa una strage della propria famiglia e poi va al bar a vedere il gol di Super Mario Balotelli.

Imputati incriminati e poi assolti, reati che cadono in prescrizione, sentenze che vengono ribaltate nei diversi gradi di giudizio. Per non parlare della giustizia civile sempre più ingolfata ed incapace di offrire quelle risposte che i cittadini si attendono.

Occorrerebbe restituire vitalità e credibilità ad un ordinamento giuridico i cui principi troppo spesso non coincidono con la loro applicazione concreta. Uguaglianza, giustizia, certezza del diritto, dovrebbero essere principi alla base di un sistema giudiziario moderno mentre, nella realtà, restano solo delle dichiarazioni di intento e non riescono a varcare le soglie dei tribunali, in cui continuano a prevalere le pretese dei più forti o dei più furbi. 

Oggi un sistema giudiziario, così troppo intriso di formalismi e così poco attento al diritto sostanziale, è solo una perversa e mostruosa brutta copia di quella "giustizia" che ogni cittadino vorrebbe.

Insomma sembriamo tutti oramai rassegnati a una giustizia che perde credibilità ogni qualvolta venga tirata in ballo. E la situazione in cui ci troviamo è diventata sicura quanto una zona nucleare. 

Da anni si cerca di porre rimedio a questa crisi ormai cronica della giustizia, che avanza come una sindrome cinese e che sembra non avere rimedio. 

Ma è davvero impossibile trovare una soluzione? 

Forse noi tutti (avvocati, giudici e altri operatori del diritto) dovremmo imparare a calarci nella comunissima e dura realtà delle parti. Ma è davvero chiacchiera da bar a dirsi ed è davvero un piano difficile da realizzarsi. Dopotutto siamo italiani, e ci troviamo sempre a chilometri di distanza da quello che vorremmo essere. 

Una cosa però si può fare. E non sarebbe neppure un'impresa impossibile. Si potrebbe iniziare dal liberare il sistema giudiziario da quell'anacronistico formalismo che rende ingestibile l'intero apparato.

C'è un detto tra noi avvocati civilisti, che recita così: "nella nostra professione è bravo chi sbaglia meno". Ovvero, la causa viene vinta dall'avvocato che ha più dimestichezza con i cavilli, piuttosto che dal cliente che ha effettivamente ragione. 

Negli ultimi anni, il feticcio del processo celere a tutti i costi ha prestato il fianco all'esasperazione del formalismo con conseguenze paradossali: molto spesso, essendo il percorso procedurale di una causa civile pieno di ostacoli, il diritto del singolo ad ottenere giustizia, passa quasi in secondo piano. A prevalere sono vizi di forma, preclusioni, nullità, decadenze, inammissibilità. 


Con questo non voglio dire che la forma nel processo debba essere del tutto trascurata (a volte i requisiti di forma servono a garantire il contraddittorio tra le parti) ma ho l'impressione che l'essenza stessa della giustizia si sia completamente sfaldata e che il rispetto delle forme abbia oggi preso il sopravvento sulla sostanza. 


Un conto è stabilire delle regole processuali e un conto è prevedere "trappole" procedimentali che possono far perdere una causa anche anche a chi ha ragione senza neppure offrirgli la possibilità di rimediare. 

Un errore procedurale può comportare una sanzione (anche pecuniaria volendo) ma non può e non deve influire sull'esito del giudizio senza neppure la previsione di un possibile rimedio.

Su cosa si regge allora l'intero sistema? Principalmente sul rispetto delle forme e dunque sul nulla!

La presenza di regole processuali poco snelle, inoltre, appesantisce e rallenta i procedimenti.

Le statistiche giudiziarie parlano chiaro, dimostrando che la pendenza di procedimenti è sempre in aumento e che la lentezza dei giudizio e il crescente numero di errori nelle decisioni fa crescere la sfiducia degli italiani. 

La soluzione potrebbe essere riesumare quella coscienza civile ormai persa nei meandri della nostra ignoranza, la sola in grado di riattivare l'intellegibilità e l'etica perduta del sistema giustizia italiano dalle cui spalle dovremmo cominciare a scrollare via un po' di quella polvere che fa tanto male ai libri, figuriamoci alla nostra salute.

Roberto Cataldi


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