(di Alfonsina Biscardi)  La contestazione delle clausole di un mutuo e la difesa rispetto a decreti ingiuntivi e procedure esecutive  promosse da Istituti di Credito in caso di inadempimento del cliente mutuatario  si basano, essenzialmente, su alcune fondamentali questioni che impegnano, con sempre maggiore frequenza, i giudici di merito.

In primo luogo, è ampiamente discussa la modalità di verifica dell'eventuale usurarietà dei tassi di interesse  corrispettivi e di mora che sono stati pattuiti nel contratto. Inoltre, si dibatte in merito alla illegittimità del sistema di ammortamento alla francese. Non mancano, poi, casi in cui si rileva la indeterminatezza e/o indeterminabilità dell'oggetto del contratto per effetto dell'equivoca pattuizione degli interessi. Né va dimenticata la questione relativa al superamento dei limiti di finanziabilità.

La giurisprudenza di merito più recente ha preso posizione su ciascuna di tali problematiche.

Con riferimento alla verifica dell'usurarietà dei tassi è noto che, a seguito della sentenza della Corte di Cassazione n.350 del 2013, si è diffusa la tesi secondo la quale, nel caso in cui la semplice somma aritmetica degli interessi corrispettivi e di mora pattuiti, superi la soglia fissata dai decreti ministeriali, le relative clausole sarebbero nulle e il cliente sarebbe tenuto a restituire alla banca,  solo il capitale.

La giurisprudenza di merito prevalente, finora, non sembra sia orientata  a condividere tale interpretazione della sentenza n.350. Infatti, fatta salva un'ordinanza del Tribunale di Rovereto del 30 dicembre 2013 e una sentenza del Giudice di Pace

di Domodossola del 2 maggio 2014, non risulta che ci siano stati altri provvedimenti che abbiano confermato la correttezza del metodo della somma aritmetica degli interessi corrispettivi e di quelli di mora ai fini della verifica dell'usurarietà. Peraltro, i provvedimenti appena citati non argomentano l'opzione a favore del metodo della somma aritmetica, limitandosi a rinviare  a quanto stabilito dalla citata sentenza  della Corte di Cassazione.

Sono, invece, più numerosi i provvedimenti nei quali diversi giudici di merito hanno esaminato criticamente la sentenza n.350 sostenendo che, in realtà, essa non avrebbe sancito un principio di diritto innovativo ma si sarebbe limitata a ribadire la necessità di sottoporre a verifica di usurarietà, non solo gli interessi corrispettivi, ma anche quelli di mora pattuiti nel contratto.

In particolare, sul punto si sono pronunciati il Tribunale di Milano (ordinanze del 28 gennaio 2014 e del  22 maggio 2014), il Tribunale di Napoli ( ordinanze del 28 gennaio 2014 e del 15 aprile 2014, sentenza dell'11 maggio 2014), il Tribunale di Brescia (ordinanza del  16 gennaio 2014), il Tribunale di Trani (ordinanza del 10 marzo 2014), Il Tribunale di Verona (sentenza del 30 aprile 2014 con ampia e dettagliata motivazione)  e il Tribunale di Treviso (ordinanza dell'11 aprile 2014).

Secondo i citati provvedimenti, la somma aritmetica dei tassi corrispettivi e di mora non è praticabile, attesa la diversa natura giuridica delle due tipologie di interessi. L'unica ipotesi in cui tale sommatoria può configurarsi ai fini della verifica dell'usurarietà del mutuo è quella in cui, in caso di inadempimento, l'istituto di credito calcoli il tasso di mora sull'intera rata scaduta, costituita da capitale ed interessi corrispettivi. In tal caso, peraltro, potrebbe configurarsi anche un fenomeno anatocistico che, però,  in base alla delibera CICR del 2000, è legittimo se  espressamente previsto con apposita clausola (in tal senso si veda, per tutte, la sentenza della Corte di Cassazione Sezione I n. 11400 del  22 maggio 2014).

Escludendo la possibilità che si addivenga alla sommatoria degli interessi corrispettivi e di mora,  il Tribunale di Padova con ordinanza  dell' 08.05.2014 ha sostenuto che quando i soli  interessi di mora, separatamente considerati rispetto a quelli corrispettivi, al momento della pattuizione superano il tasso soglia, non sono dovuti e la loro usurarietà rende indebiti anche gli interessi corrispettivi non usurari, in virtù della ratio punitiva della disciplina  antiusura. In altri termini, basterebbe l'accertamento dell'usurarietà dei soli interessi di mora pattuiti nel contratto per fare in modo che il cliente mutuatario sia tenuto a restituire esclusivamente il capitale.

Altri provvedimenti di merito, invece,  (Tribunale di Milano ordinanza del 28 gennaio 2014;  Tribunale di Trani, ordinanza del 10 marzo 201 e Tribunale di Napoli  ordinanza del 28 gennaio 2014), escludono tale possibilità e sostengono che, qualora il solo tasso di mora pattuito nel contratto si rivelarsi usurario, sono comunque dovuti gli interessi corrispettivi. 

Infine, alcuni provvedimenti hanno precisato che è da escludere a priori l'usurarietà degli interessi di  mora laddove il contratto preveda una  clausola di salvaguardia con la quale, cioè, è stabilito che essi saranno sempre adeguati al limite della soglia. (Tribunale di Napoli ordinanze dell' 8 gennaio 2014  e del  04 giugno 2014).

Ad ogni modo, non si può ignorare che manca un parametro di riferimento validamente utilizzabile per la verifica dell'usurarietà. Infatti, attualmente, nella determinazione del tasso soglia, in base alle istruzioni della Banca d'Italia, non si tiene conto del tasso di mora.

Come si è detto, un'altra questione sottoposta ai giudici di merito con riferimento ai mutui è costituita dalla presunta illegittimità del sistema di ammortamento alla francese che produrrebbe anatocismo. Ebbene, a tal proposito va rilevato che l'orientamento già espresso dal Tribunale di Benevento con  sentenza n.1936  del 19 novembre 2012 e da quello di Milano con  sentenza del 30 ottobre 2013, è stato recentemente confermato dal Tribunale di Pescara con  sentenza del 10 aprile 2014 e da quello di Treviso con sentenza dell' 11 aprile 2014, già citata con riferimento alla questione dell'usurarietà. Peraltro, il Tribunale di Milano, con  sentenza del 05 maggio 2014, rinviando alle risultanze della perizia e ricostruendo l'iter argomentativo del consulente, ha escluso nuovamente  che nell'ammortamento alla francese sia insito il fenomeno anatocistico e che esso sia, di per sé, illegittimo.

Il Tribunale di Milano con sentenza del 30 ottobre del 2013, poi, ha affrontato un caso in cui l'oggetto del contratto di mutuo risultava indeterminato e/o indeterminabile a causa della oggettiva equivocità della clausola con cui era disciplinata la modalità di determinazione degli interessi corrispettivi a tasso variabile. In base a tale sentenza il contratto di  mutuo  formulato in modo tale da non consentire una univoca ricostruzione del piano di ammortamento e delle modalità di determinazione del tasso di interessi (ciò accade soprattutto nei mutui a tasso variabile dove, peraltro, il piano di ammortamento allegato è puramente orientativo), è nullo ai sensi dell'art.1419 c.c. e trova applicazione il tasso legale ai sensi dell'art.1284 c.c..

 

Con riferimento specifico al credito fondiario, che è definito dall'art.38 I comma del Testo Unico in materia Bancaria (TUB) come  l'operazione avente ad oggetto la "concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili" si pone il problema del superamento del limite di finanziabilità che la Banca d'Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR, ha determinato in rapporto al valore dei beni ipotecati o al costo delle opere da realizzare sugli stessi. L'attuale limite massimo di finanziabilità è fissato dalla delibera del CICR del 22 aprile 1995 (e dalle conseguenti istruzioni applicative di Banca d'Italia) nell'80% del valore dei beni ipotecati o del costo delle opere da eseguire sui beni medesimi. E' prevista anche la possibilità di elevare tale percentuale al 100% attraverso il rilascio di garanzie integrative.

L'importo finanziato, dunque, in linea generale, non deve superare il limite dell'80% del valore dei beni ipotecati o del costo delle opere da eseguire su di essi.

Il valore dei beni ipotecati e, quindi, del credito ipotecario, in base alla  Direttiva 2000/12/CE è "determinato da un perito in base ad un prudente apprezzamento della futura negoziabilità dell'immobile stesso tenendo conto degli aspetti durevoli a lungo termine dell'immobile, delle condizioni normali e locali del mercato, dell'uso corrente dell'immobile e dei suoi appropriati usi alternativi"  Accade, tuttavia, che il perito incaricato dalla Banca non sempre si ponga nell'ottica prudenziale richiesta dalla Direttiva europea, sovrastimando l'immobile ipotecato  o il costo delle opere da realizzare e determinando un valore del credito ipotecario superiore a quello effettivo. Pertanto, in tali casi, l'importo finanziato finisce col superare l'80% del valore dei beni ipotecati o delle opere da realizzare.

Gli effetti del superamento del limite di finanziabilità non sono pacifici. Infatti, il  Tribunale di Venezia, con sentenza del 26 luglio 2012, ha mostrato di condividere quanto statuito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 9219 del  1° settembre 1995,  e ha statuito che, qualora attraverso apposita stima si  dimostri l'avvenuto superamento del limite di finanziabilità, il mutuo è nullo ai sensi dell'art.1418 c.c. per violazione di norma imperativa, essendo la disciplina del credito fondiario, posta a tutela, non solo degli interessi del ceto bancario, ma anche dell'interesse al corretto funzionamento del sistema bancario e, di conseguenza, al regolare andamento dell'economia. Secondo la sentenza in esame, quindi, la determinazione dell'importo massimo finanziabile attiene alla struttura del contratto di credito fondiario.

Tuttavia, la Corte di Cassazione con sentenza n. 26672 del 28 novembre 2013 ha respinto tale ricostruzione affermando che dalla violazione del limite di finanziabilità pari all'80% del valore dell'immobile, non possa discendere la nullità del contratto di mutuo fondiario.
La Corte, infatti, ha rilevato che non si può configurare  un'ipotesi di nullità  per contrarietà del contratto a norme imperative in difetto di espressa previsione, posto che la disposizione imperativa non incide sul sinallagma contrattuale ma investe esclusivamente il comportamento della banca tenuta ad attenersi al limite prudenziale stabilito dall'art 38, comma secondo, del TUB e dalla circolare del CICR del 1995.  Il superamento del limite, dunque, comporterebbe solo la violazione di norme di buona condotta e l'irrogazione delle sanzioni previste dall'ordinamento bancario, senza ingenerare una causa di nullità, parziale o meno, del contratto di mutuo.

Alfonsina Biscardi (www.tesiindiritto.com) Consulente per le attivitа degli studi legali
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