Avv. Giovanni Francesco Fidone - In questi giorni si rincorrono incessanti le voci sulla possibile abolizione del c.d. "numero chiuso", per gli ambitissimi Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia ed in Odontoiatria e Protesi Dentaria.

Il Ministro dell'Istruzione, della Università e della Ricerca, Stefania Giannini, ha infatti assicurato che il test di ammissione da luglio verrà abolito definitivamente.

Premesso che non si comprende ancora se l'abolizione del test debba riguardare sia il Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia che il Corso di Laurea di Odontoiatria e Protesi Dentaria od anche i Corsi di Laurea in Professioni Sanitarie, il "nascituro" sistema dovrebbe (il condizionale è d'obbligo) prendere spunto dal modello francese: un primo anno o un primo biennio aperto a tutti, seguito da uno sbarramento molto selettivo che potrebbe essere gestito in maniera parzialmente autonoma dai singoli atenei.

Chi scrive ha avuto modo di occuparsi delle vicende legate al "numero chiuso", assistendo studenti universitari di tutto lo stivale, ed ha pertanto maturato una forte convinzione sulla necessità di abolire il numero chiuso o, quantomeno, sulla opportunità di concepirlo in maniera (radicalmente)  diversa.

Non vi è dubbio, infatti, che il test di ammissione attualmente previsto, sia basato su un numero chiuso "concepito e applicato male" e su domande che "non valutano le competenze di chi vuole fare il medico" (tanto dichiara il Ministro Giannini).

Numerose sono le "storture" di un sistema nazionale e comunitario che dovrebbe coniugare al meglio la tutela di due principi "cardine" della nostra Costituzione: il diritto allo studio ed il diritto alla salute.

Il riferimento al sistema comunitario è dovuto alla semplice circostanza per la quale sono migliaia gli studenti italiani che frequentano oggi atenei comunitari equipollenti, dai quali "usciranno" come professionisti che potranno regolarmente svolgere la propria professione nel nostro paese.

Ed altrettanto diffuso è stato il fenomeno del trasferimento da atenei comunitari equipollenti ad atenei italiani, "favorito" da una giurisprudenza spesso favorevole, utilizzando delle vere e proprie falle del sistema universitario italiano.

Difatti, i percorsi formativi degli atenei comunitari (tipici i casi di atenei spagnoli o rumeni, ove vi è la maggiore concentrazione di studenti italiani) si caratterizzano per il rispetto di standard di formazione minimi (spesso superiori a quelli italiani, almeno così riferiscono gli studenti che li frequentano), garantiti dalle direttive europee poste a tutela del possesso di tutte le conoscenze necessarie per l'esercizio di attività professionali corrispondenti.

Ed allora, viene da chiedersi quale sarebbe l'utilità del numero chiuso, se centinaia di studenti italiani conseguiranno un titolo di studio che potranno tranquillamente "utilizzare" al ritorno nello "stivale".

Premesso il rispetto di standard formativi, presso gli atenei comunitari, che garantiscono (o quantomeno dovrebbero) la più ampia tutela del diritto alla salute, evidente è la compressione del diritto allo studio per quanti, non superando la fatidica prova di ammissione, non possono sostenere un alquanto oneroso e gravoso (soprattutto per le tasche dei genitori) corso di studi all'estero.

Invero il sistema del numero chiuso è stato "messo in crisi" dai Giudici Amministrativi, su tutto il territorio nazionale, i quali hanno consentito l'iscrizione in sovrannumero sia con riferimento alla vicenda "bonus-maturità", che con riferimento alla violazione della normativa che dovrebbe garantire l'anonimato dei testi di ammissione o, comunque, il corretto svolgimento delle prove.

Non può poi omettersi di segnalare il granitico orientamento giurisprudenziale che afferma il principio di necessaria completa assegnazione dei posti rimasti vacanti, anche di quelli destinati a studenti extracomunitari.

Invero, il completamento del contingente a vantaggio degli studenti italiani, in caso di posti non utilizzati programmati per gli studenti extracomunitari, realizza certamente il "pieno impiego" delle risorse disponibili e favorisce la domanda degli studenti, anche in relazione ai principi di cui agli artt. 33 e 34, 1° comma, della Costituzione.

Da tanto l'obbligo di assegnare, per scorrimento della graduatoria, i posti previsti per gli studenti extracomunitari e rimasti inoccupati (In tal senso TAR Calabria Catanzaro, Sez. II, 5 marzo 2014, n. 356 ma il principio costituisce ius receptum anche da parte dei Giudici di Palazzo Spada - ordinanze 15 febbraio 2012, n. 647, e 14 marzo 2012, nn. 1034 e 1074; v., altresì, CGA, sent. 10 maggio 2013, n. 467).

Addirittura, assai di recente, "bypassando" il sistema di scorrimento della graduatoria, numerosi studenti hanno giudizialmente ottenuto l'iscrizione al corso di laurea a numero chiuso sulla scorta del possesso del requisito della conseguita "idoneità" all'esame di ammissione, a prescindere dalla collocazione in graduatoria.

Il principio giuridico in virtù del quale, in presenza di posti rimasti vacanti, deve essere valutata la conseguita "idoneità" all'esame di ammissione nonchè la carriera universitaria pregressa, risponde infatti alla esigenza di acquisire forze universitarie non inferiori alle complessive potenzialità recettive di tali strutture (In tal senso TAR Abruzzo L'Aquila, Sez. I, 3 giugno 2014, n. 503, che conferma ordinanza n. 1636/2013 del Consiglio di Stato).

A questo punto non posso che recepire e condividere quanto affermato dal Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, la quale ha manifestato le proprie perplessità sulla impostazione della proposta di abolizione del numero chiuso.

E' vero infatti che i Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia e quelli in Odontoiatria e Protesi Dentaria sono fortemente interdisciplinari e sono stati impostati sul rapporto diretto tra professore (medico) e studente.

Il passaggio improvviso da un sistema che vede qualche decina di studenti presso ogni ateneo ad un sistema che vedrebbe l'afflusso di svariate migliaia di unità, pone un problema per il sistema universitario italiano, che vedrebbe alterato, in maniera quasi "sconvolgente", l'attuale rapporto numerico docenti-discenti ed irrimediabilmente compromessa la interdisciplinarietà dalla quale è caratterizzata.

Adattare al "numero aperto" i nostri atenei comporterebbe inoltre degli impegni economici che, nell'attuale momento storico, appaiono quantomeno inverosimili e, comunque, difficilmente sostenibili (anche per le caratteristiche dei corsi di studi in questione).

Altro problema è rappresentato dalla programmazione didattica e formativa, anche in relazione alle borse di specializzazione previste sia per le c.d. "specialità" che per la medicina generale, senza contare il blocco del turn over che di fatto impedisce l'ingresso nel mondo del lavoro.

ttendiamo dunque la proposta di legge, la quale (se mai vi sarà) dovrebbe essere redatta entro luglio, confidando nel buon senso del legislatore che, in ogni sua valutazione, non potrà e non dovrà perdere di vista i punti cardine della propria azione: la tutela del diritto alla salute e del diritto allo studio, nelle loro molteplici sfaccettature.

 

E' dunque auspicabile l'abolizione del numero chiuso o, quantomeno, una sua rivisitazione.

Tutto passa però, necessariamente, da una riforma complessiva del sistema universitario che deve poter rendere "sostenibile" l'apertura a quanti vogliono coronare il sogno di diventare medici.

Oggi, tuttavia, tale sistema si appalesa assolutamente inadeguato ad una riforma che, per come prospettata, potrebbe diventare "devastante" per gli atenei italiani.

Roma, 10 giugno 2014.

Avv. Giovanni Francesco Fidone

www.studiolegalefidone.it


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