"In tema di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, l'attività di formazione del lavoratore, alla quale è tenuto il datore di lavoro, non è esclusa dal personale bagaglio di conoscenze del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenze che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro. L'apprendimento insorgente da fatto del lavoratore medesimo e la socializzazione delle esperienze e delle prassi di lavoro non si identificano e tanto meno valgono a surrogare le attività di informazione e di formazione legislativamente previste, le quali vanno compiute nella cornice formalizzata prevista dalla legge".

Questo il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione che, con sentenza n. 21242 del 26 maggio 2014, ha rigettato il ricorso di un datore di lavoro avverso la sentenza che lo aveva giudicato responsabile del reato di lesioni colpose gravi commesse in danno di un dipendente, il quale mentre stava lavorando su un apparecchio tritacarne indossando guanti di ferro, con la mano sinistra infilata nel macchinario veniva a contatto con la lama del medesimo, ferendosi e riportando l'amputazione di due falangi. Al ricorrente, quale legale rappresentante della Società datrice di lavoro, veniva ascritto di non aver adeguatamente formato il lavoratore sull'uso della attrezzatura di lavoro ed in particolare sulla funzione del dispositivo di protezione rappresentato dal vassoio del tritacarne e sulla pericolosità insita nell'utilizzo di guanti con maglie di ferro nell'impiego del macchinario.

La Suprema Corte ha precisato che dal principio di diritto enunciato consegue che "la prova dell'assolvimento degli obblighi di informazione e di formazione del lavoratore non può ritenersi data dalla dichiarazione del lavoratore infortunato che indichi una personale pluriennale esperienza dell'uso dell'attrezzatura di cui trattasi. Piuttosto, una simile circostanza pone il tema dell'accertamento della causalità del reato colposo commissivo mediante omissione, la quale richiede di accertare che la condotta alternativa lecita richiesta al debitore di sicurezza avrebbe impedito il verificarsi dell'evento illecito. Tema che nella fattispecie non è in discussione."

I giudici di legittimità hanno dunque evidenziato la correttezza della decisione impugnata sottolineando come la Corte di Appello "ha preso in esame il valore di una conoscenza generica delle modalità di utilizzo dell'apparecchio e dei connessi rischi insiti, affermando che una siffatta cognizione - anche quando derivata dal pregresso svolgimento di compiti analoghi - non surroga l'attività di formazione che il datore di lavoro è tenuto a somministrare al lavoratore. Si tratta di affermazione corretta, perché coerente al quadro normativo.". 


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