La Corte di Cassazione, con sentenza n. 11715 del 26 maggio 2014, ha affermato che "nella valutazione della sussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento di un lavoratore avente le mansioni di guida di automezzi pesanti di trasporto di rifiuti sulla pubblica via, il quale, con sentenza penale di condanna per il reato di detenzione illegale di sostanze stupefacenti sia risultato consumatore di sostanze stupefacenti, è necessario - nella situazione normativa antecedente l'emanazione della disciplina attuativa dei primi due commi dell'art. 125 del d.P.R. n. 308 del 1990 - che il lavoratore fornisca piena prova, attraverso la produzione dell'esito di esami tossicologici ad hoc - del proprio avvenuto pieno recupero, con la conseguente dismissione dell'abitudine al consumo di sostanze stupefacenti, la quale - anche al di sotto della soglia della "tossicodipendenza"- è da sola sufficiente ad inibire la guida di veicoli su strada (ex art. 187 del codice della strada) e ad esporre il datore di lavoro al rischio di essere chiamato a rispondere di eventuali danni cagionati a terzi".

Sulla base del citato principio di diritto, la Suprema Corte ha cassato, con rinvio, la sentenza della Corte d'Appello che aveva respinto l'impugnazione della Società datrice di lavoro avverso la sentenza del Tribunale che, in accoglimento della domanda del lavoratore, aveva dichiarato l'illegittimità del licenziamento.

Dalla sentenza impugnata risulta con evidenza - affermano i giudici di legittimità - che la Corte d'appello, nell'esaminare la fattispecie, è partita da un presupposto erroneo, non avendo considerato che per lo svolgimento delle mansioni di guida di automezzi pesanti di trasporto rifiuti sulla pubblica via (...) non si trattava di stabilire se il lavoratore era "tossicodipendente", ma di avere la certezza che egli avesse dismesso la abitudine al consumo di stupefacenti - anche al di sotto della soglia della "dipendenza"- abitudine che era stata pacificamente accertata nella sentenza penale di condanna.

La Corte d'appello, ha, in un primo luogo, rilevato che il licenziamento

in oggetto è stato motivato:  a) dal "consumo di sostanze stupefacenti da parte del lavoratore", accertato con sentenza penale di condanna per il reato di detenzione illegale di sostanze stupefacenti; b) nonché dalla mancata disponibilità manifestata dall'interessato ad effettuare un programma di riabilitazione, cui era stato avviato dalla datrice di lavoro ai sensi dell'art. 44 CCNL FEDERAMBIENTE; c) dal fatto che tali circostanze hanno indotto la datrice di lavoro a ritenere il dipendente sostanzialmente inidoneo allo svolgimento delle proprie mansioni di autista di mezzi pesanti e a licenziarlo, data l'impossibilità di adibirlo a mansioni equivalenti.

Ma da questa esatta ricostruzione - si legge nella parte motivata della sentenza - la Corte territoriale si è poi discostata affermando che il giustificato motivo oggettivo di licenziamento era costituito dalla sussistenza dello "stato di tossicodipendenza" del lavoratore in epoca prossima all'intimazione del licenziamento medesimo che la società non ha dimostrato, pur avendone l'onere. Viceversa, il giustificato motivo oggettivo del recesso datoriale era costituito non dalla sussistenza dello stato di tossicodipendenza, ma dall'incertezza in merito alla persistenza dell'abitudine di consumare stupefacenti, quale risultante dalla sentenza penale e dalla conseguente dichiarata impossibilità di adibizione del dipendente a mansioni diverse, da quelle, di per sé pericolose, di autista di automezzi pesanti di trasporto rifiuti sulla pubblica via.

"Il lavoratore avrebbe potuto contestare entrambi questi elementi: a) dimostrando, con la produzione dell'esito di esami tossicologici ad hoc, il proprio avvenuto pieno recupero; b) offrendo la sua collaborazione per il repechage ed, eventualmente, dichiarandosi disponibile a svolgere anche mansioni diverse, anche inferiori, nel caso di persistente consumo di droghe." Invece, nel corso del colloquio con un assistente sociale della cooperativa sociale cui è stato invitato dalla datrice di lavoro, si è limitato a "dichiarare" di "essere in piena ripresa", grazie all'aiuto dei genitori, e a rifiutare il programma di recupero offertogli senza produrre alcuna prova al riguardo e senza fare altro.

La Corte romana - sempre sulla base del suddetto erroneo presupposto, di sovrapporre i differenti concetti di tossicodipendenza (che è la "condizione di dipendenza fisica e psicologica dall'uso di sostanze stupefacenti") e di "consumo di stupefacenti" (da sola sufficiente per inibire la guida di veicoli su strada) - ha dato rilievo prevalente a tale ultima dichiarazione, benché vaga e priva di alcuna dimostrazione, rispetto a quella risultante dalla sentenza penale di condanna e poi ha affermato che la datrice di lavoro aveva l'onere di effettuare gli esami clinici, senza considerare che all'epoca non vi era alcuna specifica normativa al riguardo.


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