Luana Tagliolini: La vendita delle unità immobiliari appartenute originariamente ad un unico proprietario (o costruttore) comporta un atto di divisione per cui  le unità immobiliari divengono di proprietà esclusiva e le parti comuni ad esse - ossia quelle indicate dall'art. 1117 c.c. e tutte le altre accessorie e, comunque, individuate come tali nel regolamento di condominio  - sono oggetto di proprietà comune tra i proprietari delle prime.

Al  momento della prima vendita nasce di fatto il condominio che non necessita di alcuna formalità.

Ed invero, la giurisprudenza è costante nell'affermare che "il condominio sorge ipso iure et facto, e senza bisogno di apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni, nel momento in cui l'originario costruttore di un edificio diviso per piani o porzioni di piano, aliena a terzi la prima unità immobiliare suscettibile di utilizzazione autonoma e separata, perdendo, in quello stesso momento, la qualità di proprietario esclusivo delle pertinenze e delle cose e dei servizi comuni dell'edificio" (Cass. sent. n.19829/2004).

Proprio con riferimento a tale perdita di esclusività dei beni e al loro che la suprema Corte di Cassazione (sent. n. 822 del 16 gennaio 2014) ha affrontato il caso della  "divisione" di un edificio - composto da più unità immobiliari appartenenti ad una sola persona - in tante unità immobiliari assegnate, in proprietà esclusiva, ai suoi figli, nascendo in tal momento il condominio.

Uno degli eredi aveva sostituito la serratura del portone d'ingresso impedendo all'altro l'accesso alle unità immobiliari in quanto sosteneva che dall'atto di divisione (e quindi da titolo costitutivo del condominio) si desumeva che il portone dell'edificio fosse stato escluso dal condominio e, quindi, non rientrasse tra i beni comuni.

Il condomino cui era stato impedito l'accesso, adiva le vie legali perché reclamava la condominialità di quell'accesso e quindi la cessazione dell'impedimento. 

Il reclamo venne accolto in primo grado ma, in appello, si giungeva all'opposta conclusione, ossia si statuiva la non condominialità del portone. 

Inoltrato il ricorso in Cassazione, la Corte ha ribaltato nuovamente il verdetto ed ha precisato che in linea di principio il  portone d'ingresso è un bene comune ai sensi dell'art. 1117 c.c. 

Ed invero, ai sensi dell'art. 1117 c.c. i beni si presumono comuni salvo che il contrario non risulti dal titolo per cui, è chi ha interesse che deve provare la proprietà individuale con un titolo idoneo e in modo inequivocabile.

L'atto di divisione, in questo caso, non era affatto chiaro (come affermato anche dalla Corte d'appello), ma, al contrario di quest'ultima, la Corte di legittimità è giunta ad  opposte conclusioni.

Precisano i giudici di legittimità  "la presunzione di condominialità di siffatti beni ex art. 1117 c.c. deriva sia dall'attitudine oggettiva del bene al godimento comune sia dalla concreta destinazione di esso al servizio comune; ne consegue che, per vincere tale presunzione, il soggetto che ne rivendichi la proprietà esclusiva ha l'onere di fornire la prova rigorosa di tale diritto in modo da escludere in maniera inequivocabile la comunione del bene (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5633 del 18/04/2002)" (Cass. 16 gennaio 2014, n. 822). 

Inoltre, chi, come nel caso di specie, agisce "per tutelare la proprietà di un bene appartenente a quelli indicati dall'art. 1117 cod. civ. - e non per rivendicarla -  non è necessario che dimostri, con il rigore richiesto per la rivindicatio, la comproprietà del medesimo, essendo sufficiente, per presumerne la natura condominiale, che esso abbia l'attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale, mentre spetta al condomino, che ne afferma la proprietà esclusiva, darne la prova (Cass. Sent. n.  17993/2010)" (Cass. n. 822 cit.).

Prova inequivocabile che nella fattispecie non era stata fornita. 

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