Luana Tagliolini

L'art. 1655 del codice civile definisce l'appalto come "il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro".

In tema di appalto la legge prevede due distinte ipotesi di responsabilità dell'appaltatore: quella decennale per gravi difetti e/o pericolo di rovina, regolata dall'art. 1669 c.c.; quella biennale per difformità e vizi rispetto a quanto pattuito disciplinata dall'art. 1667 c.c.

L'art.1667 c.c. relativamente alla denunzia di vizi e difformità all'appaltatore e per la conseguente azione giudiziale, dispone che "il committente deve, a pena di decadenza, denunziare all'appaltatore le difformità o i vizi entro sessanta giorni dalla scoperta. La denunzia non è necessaria se l'appaltatore ha riconosciuto le difformità o i vizi o se li ha occultati.

L'azione contro l'appaltatore si prescrive in due anni dal giorno della consegna dell'opera. Il committente convenuto per il pagamento può sempre far valere la garanzia, purché le difformità o i vizi siano stati denunziati entro sessanta giorni dalla scoperta e prima che siano decorsi i due anni dalla consegna."

Nel caso di vizi e difformità, il committente può  eliminare le suddette problematiche; ridurre il prezzo; risolvere il contratto ma solamente se vizi e difformità dell'opera dell'opera sono tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione (art. 1668 c.c.).

Nel caso di vizi occulti, invece, la Corte di Cassazione ha di recente precisato che "qualora l'opera appaltata sia affetta da vizi occulti o non conoscibili, perché non apparenti all'esterno, il termine di prescrizione dell'azione di garanzia, ai sensi dell'art. 1667, terzo comma, cod. civ., decorre dalla scoperta dei vizi, la quale è da ritenersi acquisita dal giorno in cui il committente abbia avuto conoscenza degli stessi.

Conoscenza che può ritenersi comunque acquisita, senza la necessità di una verifica tecnica dei vizi stessi, secondo l'accertamento del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato" (Cass. 22 novembre 2013, n. 26233).

Il tutto sempre nel rispetto del termine biennale che decorre dalla consegna dell'opera.

Un problema di rilievo è quello della identificazione del momento al quale far risalire la conoscenza del vizio rilevante per la prescrizione dell'azione di garanzia. 

In un recente caso sottoposto all'attenzione della suprema Corte di Cassazione, il condominio era stato dichiarato decaduto dal diritto di proporre azione per far valere le difformità dell‘opera perché aveva agito tardivamente.

Decadenza confermata dalla Cassazione che, uniformandosi alla decisione del giudice d'appello, aveva considerato legittimo far risalire la conoscenza dei vizi da parte del committente a determinate delibere assembleari.

In relazione ai gravi difetti ex art. 1669 c.c., tuttavia, è stato affermato più volte che il termine decadenziale "decorre dal giorno in cui il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall'imperfetta esecuzione dell'opera" (cfr. Cass. 9 dicembre 2013 n. 27433), ricollegando tale conoscenza all'espletamento di una consulenza tecnica.

Pertanto mentre in un caso sono state considerate momenti di conoscenza del vizio quelli in cui s'è preso conoscenza del responso di un tecnico, in quello risolto con la sentenza n. 26233 cit. è stato ritenuto sufficiente il contenuto di una delibera assembleare.

Sembrerebbe che l'azione possa presupporre due situazioni cognitive differenti, ma in realtà è il giudice di merito che dovrà accertare il momento di conoscenza del vizio dichiarato, come ha  specificato la Cassazione: "l'accertamento del momento nel quale detta conoscenza sia stata acquisita, involgendo un apprezzamento di fatto, è riservato al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se sorretto, come nel caso in esame, da motivazione congrua ed esente da vizi logici o da errori di diritto" (cfr. Cass. 9 dicembre 2013 n. 27433).

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