di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione tributaria, sentenza n. 13515 dell'11 Giugno 2009. Si ringrazia il Dott. Pisapia per la segnalazione del caso affrontato.


Il caso. In applicazione dell'art. 52 del d.p.r. 131/1986 (testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro) il resistente ha ottenuto, in primo e in secondo grado di giudizio, l'annullamento di rettifica esattoriale relativa alla riscossione di imposta di registro, dovuta a seguito di compravendita di immobile. L'imposta di registro ha natura giuridica mista, nel senso che quando è prevista in misura fissa si configura come tassa (cioè come il corrispettivo di un servizio prestato dalla pubblica amministrazione) mentre quando è dovuta in maniera proporzionale, allora ha carattere di imposta. L'imposta di registro è dovuta in tutti i casi in cui vi sia trasferimento di proprietà o di godimento di un immobile, come la vendita o la locazione. L'articolo citato prevede un termine decadenziale di due anni relativamente alla riscossione dei contributi dovuti per la rettifica di valore di immobili o aziende. Secondo il resistente, l'accertamento sarebbe infatti avvenuto oltre i due anni previsti dalla normativa.

Avverso la sentenza d'appello proponeva ricorso il l'Agenzia delle Entrate, contestando la corretta applicazione dell'art. 57 legge 413/1991 (normativa introdotta al fine di razionalizzare e potenziare l'attività di accertamento fiscale), poiché, a dire dell'Agenzia, detto disposto sarebbe applicabile non solo al momento della riscossione ma anche dell'accertamento tributario.


La considerazione, secondo la Suprema Corte "ovvia", potrebbe non essere così scontata, proprio perchè, si ricorda, il ricorrente ha ottenuto l'accoglimento delle proprie doglianze sia in primo che in secondo grado di giudizio. Con questa riflessione non si intende mettere in discussione una pronuncia della Cassazione, quanto mettere in evidenza l'importanza dell'applicazione delle tecniche di interpretazione delle norme, principi generali previsti nel nostro ordinamento - essenzialmente di rango costituzionale e di legge ordinaria - che si adattano a ciascuna circostanza (ad esempio, alcuni principi interpretativi tipici del diritto penale possono non essere ripresi nel civile, e viceversa). Il diritto tributario è regolato da criteri ad hoc (come il principio di capacità contributiva, il principio di progressività, la riserva di legge) che mirano alla tutela della parte debole del rapporto, il contribuente (circostanza confermata dall'entrata in vigore, nel 2000, dello Statuto del contribuente); proprio per questo motivo in generale, al pari del diritto penale, il sistema tributario è regolato da una sorta di rigidità che non permette, in molti casi, applicazioni analogiche né supplettive di norme astrattamente simili.


Nel caso in oggetto la Suprema Corte interpreta il dettato normativo di una legge sul condono fiscale in maniera pregiudizievole per il contribuente. Inoltre, la Cassazione interpreta retroattivamente un disposto normativo successivo; quando al contrario uno dei principi generali del diritto tributario - come nel penale - è proprio l'irretroattività della legge.


Il principio di diritto. La massima enunciata nella sentenza in esame è la seguente: "l'art. 57, comma secondo, secondo periodo, della L. 30-12-1991, n. 413, il quale, relativamente ai tributi indicati nel precedente art. 53, comma 1 (imposta di registro, ipotecaria e catastale, imposta sulle successioni e donazioni, INVIM) stabilisce la sospensione dei termini di prescrizione e decadenza, va interpretato nel senso che esso ricomprenda - sin dalla sua originaria formulazione, e quindi ancora prima della modifica operata dall'art. 4 del D.L. 23 Gennaio 1993, n. 16 (convertito nella L. 75 del 1993) che ha espressamente introdotto il riferimento all'accertamento - tanto i termini di accertamento, quanto quelli di riscossione".



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