Avv. Barbara Pirelli del Foro di Taranto
E-mail: barbara.pirelli@gmail.com

Prima di entrare nel vivo della questione e' opportuno fare una distinzione tra quello che è :

1.l'assegno di mantenimento;

2. l'assegno agli alimenti;

3 .l'assegno divorzile.

Come detto più volte, la legge riconosce al coniuge economicamente più debole (in genere la moglie) il diritto all'assegno di mantenimento (nella fase della separazione) e il diritto all'assegno divorzile (nella fase del divorzio).

Il diritto di mantenimento viene riconosciuto al coniuge che, in sede di separazione, abbia dimostrato di essere privo di redditi propri e al quale non sia addebitabile la separazione; diversamente se è " colpevole" per il fallimento del matrimonio ha comunque diritto agli alimenti.

Il diritto alla prestazione alimentare (ovvero agli alimenti) rientra in quello che è il diritto di solidarietà familiare.In buona sostanza il diritto agli alimenti (art. 438 c.c.)può' essere chiesto dal coniuge che versa in stato bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento".

Quindi con l'assegno agli alimenti si soddisfano i bisogni minimi e vitali di cui il coniuge necessita (es. vitto, alloggio, vestiario, assistenza medica, etc.).

Cosa diversa e' il diritto all'assegno di mantenimento e all'assegno di divorzio il cui scopo e' quello di permettere al coniuge  di conservare il medesimo tenore di vita esistente in costanza di matrimonio.

In particolare, l'assegno divorzile è un diritto di credito imprescrittibile ed  irrinunciabile da parte dell'ex coniuge; può essere chiesto finché il beneficiario (la moglie) non passi a nuove nozze oppure l'obbligato (il marito)muoia o fallisca.

Premesso ciò, può accadere che una moglie che, in sede di divorzio, faccia richiesta di aumento dell'assegno divorzile si veda rigettare la richiesta perché,pur percependo dal marito un assegno mensile di soli 400 euro, ha comunque acquisito dalla suocera, in sede transattiva, un immobile.

Questo è quello che ha deciso la Cassazione con la sentenza n.368 del 10 gennaio 2014.

Sulla base di questi elementi, la Corte non ha accolto il ricorso della donna perché pur percependo una somma modesta pari ad euro 400, a questa somma bisognava aggiunge, in maniera approssimativa, il valore locativo dell'immobile.

In questo modo, il valore dell'uno sommato all'altro raggiungono e soddisfano quello che era il tenore di vita goduto dalla moglie durante il matrimonio.

In parole semplici, questo significa che in sede di divorzio il giudice deve valutare le capacità reddituali, anche potenziali, del coniuge che richiede l'aumento dell'assegno divorzile; logica conseguenza e' che se il coniuge e' titolare di un discreto patrimonio come un immobile, da cui può ricavare un guadagno dandolo in locazione, la richiesta di aumento dell'assegno divorzile non può essere accolta.

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