Avv. Barbara Pirelli del Foro di Taranto
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Il padre rappresenta per una figlia un punto di riferimento per la sua vita, nel periodo dell'infanzia la relazione si struttura nella dimensione del gioco, dello scherzo, delle coccole e delle effusioni. A differenza della mamma che,spesso, è quella più inamovibile sul rispetto delle regole comportamentali  il padre rappresenta la deroga alle "leggi materne". Questo è sicuramente dettato dal fatto che i padri hanno, per via degli impegni lavorativi, meno tempo da dedicare ai figli,quindi, nel tempo libero concedono più del dovuto. 

Per una figlia il padre rappresenta appunto il Principe Azzurro delle fiabe, l' eroe  "senza macchia e senza paura", un rifugio emotivo ed un porto sicuro dove trovare ascolto. Ma, a volte, un padre può anche rappresentare il lupo cattivo o l'uomo nero quando alcuni comportamenti sfociano in abusi intrafamiliari che si ripercuoto,poi, sulla capacità dei minori di stabilire relazioni sociali, affettive e sessuali da adulto.

Il caso di cui si è occupata recentemente la Corte di Cassazione con la  sentenza n. 26203 del 22 novembre 2013, vede come protagonista un padre che dopo essere stato assolto dalle accuse di violenza sessuale nei confronti di una figlia minore, otteneva  di poter vedere gli altri figli senza la presenza di una terza persona qualificata. Le "visite protette", infatti, erano state disposte in sede di pendenza del processo penale. La decisione in primo grado sarà poi disattesa sia in sede di Appello che in Cassazione.

Qui di seguito la vicenda giudiziaria riassunta brevemente.

Il Tribunale di Brescia disponeva, essendo pendente un procedimento penale a carico del padre per i reati di cui agli artt. 609 bis e 609 ter c.p. nei confronti della figlia C., che lo stesso potesse vedere e tenere con sé gli altri due figli minori R. e A. alla sola presenza di una terza persona professionalmente qualificata.

Successivamente, il Tribunale di Brescia, in seguito all'assoluzione dell'uomo dai predetti reati, accoglieva la domanda proposta dall'uomo revocando la limitazione al regime delle visite.

Il Tribunale aveva preso la suddetta decisione basandosi non solo sulla pronuncia assolutoria ma tenendo presenti anche le relazioni delle assistenti sociali le quali, negli incontri tra padre e figli, non avevano notato alcuna anomalia comportamentale .

La Corte di appello di Brescia, invece, accogliendo il reclamo  dell'ex moglie, rigettava l'istanza avanzata dall'uomo, ripristinando quindi la situazione precedente e cioè le visite del padre con i figli dovevano avvenire alla presenza degli assistenti sociali.

La Corte territoriale riteneva che il provvedimento relativo agli "incontri protetti' tra padre e figli trovava giustificazione nella circostanza che, il padre era stato assolto con rito abbreviato, comunque lo stesso aveva posto in essere atteggiamenti inadeguati, consistenti in toccamenti delle parti intime; inoltre, la decisione era stata appellata sia dal p.m. che dalla parte civile.

L'uomo proponeva ricorso in cassazione affidandolo ad una serie di motivi.

Con il primo motivo l'uomo lamentava che la corte territoriale, in assenza di documentazione di segno contrario prodotta dalla reclamante, avrebbe disatteso  gli elementi di prova posti alla base della sentenza di assoluzione emessa dal Giudice dell'udienza preliminare. 

Con il secondo motivo lamentava un vizio di motivazione, con riferimento all'interpretazione di una frase della relazione del consulente tecnico d'ufficio.

Con il terzo motivo lamentava che  la corte territoriale, avrebbe errato nell'attribuire al giudice di primo grado una lettura riduttiva della sentenza del GUP, che ancorché non irrevocabile, costituisce valida fonte del convincimento. Il Tribunale, invece, aveva complessivamente e congruamente apprezzato la citata decisione di assoluzione, prendendo in considerazione non solo l'assenza di rilievi di natura penale ma anche la natura "neutra" della condotta attribuita al padre, ritenendo,invece, inattendibile il giudizio della figlia considerato  macchinoso.

Con il quarto motivo si faceva rilevare un vizio motivazionale della corte territoriale  secondo cui i comportamenti attribuiti al padre  avrebbero determinato un grave turbamento psichico nella figlia  senza che ciò fosse validamente supportata da risultanze probatorie.

Sotto altro profilo si rilevava che l'espressione "toccamenti del sedere", riferita da una dottoressa non avevano  trovato riscontro nella dichiarazioni rese dalla minore nel corso dell'incidente probatorio

Con il quinto motivo si censurava la valutazione negativa della personalità dell'uomo senza considerare il positivo giudizio sulla capacità genitoriale emergente dalla consulenza tecnica d'ufficio

 Con l'ultima motivo si prospettava la "nullità del decreto per profili di abnormità", perché il fatto stesso che durante le visite monitorate non c'erano stati comportamenti inadeguati da parte del padre nei confronti dei figli, faceva pensare ad un pregiudizio nei suoi confronti soprattutto in considerazione di una decisione di assoluzione.

La Suprema Corte riteneva il ricorso inammissibile. 

In buona sostanza gli Ermellini non accoglievano le richieste del ricorrente sostenendo che la corte di appello (esclusa la natura vincolante di una decisione, non irrevocabile in quanto impugnata sia dal P.M. che dalla parte civile, emessa all'esito di giudizio abbreviato  ,peraltro con esplicito richiamo alla formula contemplata dall'art. 530, comma 2 c.p.c.,) non aveva esaminato affatto la valenza, sul piano penale, dei comportamenti attribuiti al padre ma si era limitata a constatare che detti comportamenti, confermati dallo stesso giudice penale, per la loro oggettiva gravità e per le gravi e comprovate ripercussioni di natura psicologica imponevano  il mantenimento delle cautele già adottate con il precedente provvedimento.

Dunque, anche se la Corte  territoriale aveva attribuito "carattere neutro", dal punto di vista penale, alle condotte attribuite al padre tale non poteva considerarsi sotto il profilo delle esigenze di tutela dell'equilibrio psicofisico della prole.

Le stesse condotte, infatti, potevano sviluppare un profondo turbamento, inoltre, vi era il pericolo che le condotte potessero ripetersi nel tempo,  pericolo che in qualche modo poteva essere aggravato dalla incapacità del padre di comprendere "la portata negativa degli atteggiamenti tenuti". 

La Suprema Corte rigettava il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge. 

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