Dr. Carmelo Cataldi - Recentemente, a seguito di fatti che hanno avuto come oggetto l'uccisione nel 2009 di Lea Garofalo, testimone di giustizia, e i suoi funerali pubblici a Milano di qualche giorno fa, a cui sono intervenuti i guru dell'antimafia, da Don Ciotti al Sindaco di Milano Pisapia, nonché alla notizia di una nuova testimone di giustizia che sulle stesse sue orme di questa martire antimafia, ha deciso di dare il suo apporto alla Giustizia, anche deponendo contro la propria famiglia, è ritornata alla ribalta quella confusione in termini giuridici e sostanziali tra le figure di collaboratore e testimone di giustizia.

Difatti, in molti, soprattutto coloro che non sono avvezzi ad una appropriata terminologia giuridica, molto genericamente tendono a confondere i due soggetti, che, sia sotto il profilo soggettivo, che giudiziario, sono nettamente distinti e muovono da presupposti etici, morali e giuridici diametralmente all'opposto.

La figura del collaboratore di giustizia si contraddistingue perché ha un forte legame originario con il sodalizio mafioso ed ha, nella maggioranza dei casi, fatto parte integrante, a vari livelli, dello stesso. Esso ha commesso delitti, anche efferati, per cui in capo allo stesso rimarrà sempre il dubbio sulla effettiva motivazione che lo ha indotto poi al "pentimento".

Il collaboratore sottoscrive un vero e proprio "contratto mutualistico" con gli apparati dello Stato, fondato sullo scambio di informazioni di prima mano sull'organizzazione mafiosa, utili a disarticolarla giudiziariamente, con una contropartita che si gioca sulla concessione di benefici premiali di natura processuale e di esecuzione delle pene, ma soprattutto sulla protezione personale, del proprio nucleo famigliare e sul loro sostentamento.

La contropartita ad opera dello Stato risulta congrua per questa specialissima figura di collaboratori di giustizia in quanto essi permettono di conoscere di prima mano :

  • la struttura organizzativa interna del sodalizio criminale;

  • gli obiettivi e le strategie a medio termine e soprattutto quali crimini hanno commesso e intendono commettere.

  • ma soprattutto, ed è la parte più critica del sistema, quali sono i rapporti di connivenza e collusione anche di natura politica e amministrativa.


L'efficacia dell'apporto collaborativo di questi soggetti si valuta  poi dai risultati ottenuti attraverso:

  • la disarticolazione del sodalizio a seguito dell'arresto dei suoi componenti primari, dei gregari e soggetti collusi;

  • la diminuzione degli efferati delitti commessi da tutta l'organizzazione;

  • l'impoverimento della stessa attraverso il contributo che ha condotto al sequestro ed alla confisca dei proventi delittuosi ottenuti dall'organizzazione.


Diversamente dai collaboratori di giustizia, i testimoni di giustizia sono soggetti estranei all'organizzazione mafiosa ed alla sua gerarchia interna e non collegabili in ogni caso alle attività criminali dello scellerato sodalizio, ma soprattutto, nella maggioranza dei casi, sono cittadini con la fedina penale immacolata. 

Questi, rispetto al contributo dei primi, giocano un ruolo diverso processualmente in quanto forniscono la propria testimonianza su reati perpetrati dall'organizzazione mafiosa, sia su un singolo che su più reati.

L'esempio più evidente ci viene da Libero Grassi, imprenditore che si era rifiutato di pagare il "pizzo" o da Tano Grasso, ora leader di un'associazione anti-racket, allora commerciante che non volle più pagare interessi usurai concessi da membri legati ad ambiti malavitosi di stampo mafioso.

Oltre a questa particolare figura di testimone di giustizia, che in ogni caso è risultata totalmente esterna all'ambito dell'organizzazione mafiosa, esiste un'altra figura di testimone di giustizia ed e quella legata ai nomi di Lea Garofalo, Piera Aiello, Rita Atria, etc. donne, figlie e compagne di mafiosi che hanno pagato un alto prezzo per un principio di legalità che non gli era stato richiesto se non dal proprio senso civico.

Per entrambi i casi il legislatore, soltanto dopo alcuni anni in cui il fenomeno era esploso e necessitava di una normativa specifica, soprattutto dopo la stura avuta con il caso Buscetta, ha proposto e votato una legge chiave in materia e cioè la Legge 15 marzo 1991, n. 82 (Norme per la protezione di coloro che collaborano con la giustizia) e quella successiva di modifica, la legge 13 febbraio 2001, n. 45 (Modifiche alle norme per la protezione di coloro che collaborano con la giustizia).

E' proprio attraverso il combinato disposto dell'art. 16 bis della legge 82/91 modificato così dalla legge successiva, e dall'art. 9 e 13 c. 5 della medesima legge che si identifica giuridicamente il profilo di coloro che si trovino in particolari condizioni per cui applicare particolari misure di protezione, in relazione al fatto che gli stessi si trovino in una condizione oggettiva di pericolo per se e altri a seguito delle dichiarazioni rese nel corso di un procedimento penale contro un sodalizio criminale-mafioso.

Ma è soltanto con le modifiche legislative del 2001 che il legislatore ha stabilito una formale e netta distinzione tra collaboratori e testimoni di giustizia, nonché un diverso regime giuridico di trattamento tra le due figure, introducendo anche  limiti di rigidità maggiori nella selezione delle collaborazioni da accettare, quale ad esempio quello temporale di 180 gg. entro cui il collaboratore deve riferire  su tutti  gli elementi ed i fatti  di cui è a conoscenza, rimandando poi la regolamentazione della materia al Decreto  23 Aprile 2004 , n. 161." Regolamento ministeriale concernente le speciali misure di protezione previste per i collaboratori di giustizia e i testimoni, ai sensi dell'articolo 17-bis del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, introdotto dall'articolo 19 della legge 13 febbraio 2001, n. 45.".

Nell'estendere la disciplina propria del collaboratore di giustizia anche al testimone di giustizia, ai sensi del combinato disposto dell'art. 12 c. 3 della legge 45/2001  con l'art. 16- ter della legge 82/91, anche ai testimoni di giustizia sono concessi i seguenti benefici:

  • misure di protezione fino alla effettiva cessazione del pericolo per se' e per i familiari;

  • misure di assistenza, anche oltre la cessazione della protezione, volte a garantire un tenore di vita personale e familiare non inferiore a quello esistente prima dell'avvio del programma, fino a quando non riacquistano la possibilita' di godere di un reddito proprio;

  • capitalizzazione del costo dell'assistenza, in alternativa alla stessa;

  • se dipendenti pubblici, mantenimento del posto di lavoro, in aspettativa retribuita, presso l'amministrazione dello Stato al cui ruolo appartengono, in attesa della definitiva sistemazione anche presso altra amministrazione dello Stato;

  • corresponsione di una somma a titolo di mancato guadagno, concordata con la commissione, derivante dalla cessazione dell'attivita' lavorativa propria e dei familiari nella localita' di provenienza, sempre che non abbiano ricevuto un risarcimento al medesimo titolo, ai sensi della legge 23 febbraio 1999, n. 44;

  • mutui agevolati volti al completo reinserimento proprio e dei familiari nella vita economica e sociale.                       

Ancora nell'agosto 2013, in accoglimento delle sollecitazioni  del  rappresentante dell'associazione nazionale dei testimoni di giustizia, l'attuale Governo ha approvato un decreto legge (Decreto legge disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazioni nelle pubbliche amministrazioni) che permette ai testimoni di giustizia di essere assunti nella pubblica amministrazione alla stessa stregua di come avviene per le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata.


Dr. Carmelo Cataldi



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