Una recensione di Antonella Aloia - Nel divenire della nostra esistenza, spesso e volentieri evitiamo di imbatterci in quegli interrogativi che riguardano il nostro universo individuale, la nostra anima, la nostra coscienza.

Forse per superficialità, o più semplicemente per paura di scoprire quanto le convinzioni sociali abbiano un ruolo determinante nel plasmare il nostro modo di vivere, sino ad annullare la nostra identità e libertà personale.

Le pagine de "Il diritto e le libertà morali" di Roberto  Cataldi, offrono un piacevole biglietto di viaggio verso la riscoperta dei segreti della nostra intimità, di quei desideri spesso denegati dall'insostenibile peso delle regole morali e sociali che sin dai primordi governano instancabilmente la nostra esistenza. In poche parole, ci si addentra in un viaggio "hegeliano" dell'animo umano alla ricerca della propria libertà.

Il primo incontro che richiede tale cammino interiore è con la prigione che abita in ciascuno di noi, costruita nel corso dei tempi da dettami suggeriti da leggi e comandamenti che gli uomini hanno deciso di accettare come norme morali assolute. Norme morali che sviano dal loro fine primario, quello di garantire una libera convivenza dei consociati, e che finiscono col reprimere la libertà di ognuno, intrappolandola nelle sbarre della rinuncia e del sacrificio. Ineguagliabile espressione di questo taciturno conflitto interiore, può rinvenirsi in alcuni versi tratti dalla Lettera di San Paolo ai Romani, capitolo 7: "(...) Mi trovo dunque sotto questa legge: quando voglio fare il bene, il male si trova in me. Infatti io mi compiaccio della legge di Dio, secondo l'uomo interiore, ma vedo un'altra legge nelle mie membra, che combatte contro la legge della mia mente e mi rende prigioniero della legge del peccato che è nelle mie membra". Ci troviamo dinanzi ad una "immorale morale che ci fa deragliare, che ci rende torbidi, che ci allontana dalla ricerca della nostra autenticità", e che nasconde la radice di ogni contrasto sociale che porta al razzismo, all'omofobia, all'omicidio, al suicidio e a qualsiasi altra forma di negazione della libertà individuale. Non solo della propria, ma soprattutto di quella degli altri.

E' evidente come ormai l'essere umano abbia la tendenza a "considerare la sua condizione del momento, sia essa serena o intricata, tranquilla o appassionata, come quella vera, caratteristica e duratura della sua esistenza, e soprattutto a elevare immediatamente, nella sua fantasia, ogni felice ex tempore a bella regola e inviolabile consuetudine, mentre in realtà è condannato a improvvisare e a vivere, dal punto di vista morale, alla giornata" (T. Mann, "Cane e padrone").

Quale il ruolo del diritto? L'esistenza degli uomini è inevitabilmente scandita da un complesso di consuetudini, di leggi e di modelli destinati a garantire un ordine sociale, legale, istituzionale in modo da rendere uniforme una massa disomogenea di individui, le cui esigenze primarie quali lo sviluppo della propria personalità, il diritto alla libertà personale, la tolleranza politica, il rispetto della persona, i limiti del potere dello stato, hanno assunto il rango di valori fondamentali, tipici dello stato di diritto moderno, ma che difficilmente hanno trovato una concreta realizzazione.

E proprio quando l'uomo non riesce a fare a meno di spogliarsi di queste vesti non autentiche, frutto di condizionamenti esterni, ma che, nonostante tutto, gli appartengono più della sua stessa pelle, si rifugia nel fluttuarsi di un pennello, nella riproduzione di una melodia, nella scena di un film, nel muoversi sinuoso di un corpo, per dare spazio, in un modo o nell'altro, alla sua vera essenza, quella libera dai pregiudizi, dalle costanti di una società superficiale, disattenta, profondamente instabile, garante di quella che potremmo definire una vera e propria prostituzione mentale. La verità è che "siamo ignoti a noi medesimi, noi uomini della conoscenza, noi stessi a noi stessi: è questo un fatto che ha le sue buone ragioni. Non abbiamo mai cercato noi stessi - come potrebbe mai accadere, un bel giorno, di trovarsi?"(Nietzsche, Genealogia della morale, prefazione I). L'approdo di questo viaggio hegeliano non può che riportarci alla coscienza di ciascuno di noi, alla libertà dal peso dei condizionamenti culturali, senza rinunciare al mondo, ai suoi piaceri, "perchè prendere coscienza della nostra finitudine può servire da stimolo per vivere più intensamente la propria vita." L'unico vero limite alle nostre scelte non può che essere uno: il rispetto di se stessi e degli altri.

Antonella Aloia

La quarta di copertina del saggio è visibile qui: "Il diritto e le libertà morali


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