di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione lavoro, sentenza n. 23369 del 15 Ottobre 2013. Nel caso di specie la Cassazione si pronuncia in merito all'errata quantificazione del risarcimento del danno dovuto al dipendente a seguito di demansionamento, situazione di fatto accertata nei gradi di merito. Il problema è sorto relativamente al fatto di evitare la duplicazione delle voci di danno, tra loro strettamente collegate, aventi loro causa nel non patrimoniale.

La Cassazione accoglie alcuni motivi di ricorso rilevando difetto di motivazione della sentenza impugnata. Al fine di sostenere la sua motivazione, infatti, la Corte d'appello avrebbe dovuto "indicare elementi ulteriori rispetto a quelli considerati dal primo giudice (…) che giustificavano una così notevole decurtazione del danno liquidato". La sentenza impugnata ha preso in considerazione soltanto genericamente alcuni degli elementi necessari al fine della liquidazione in via equitativa, semplicemente "mutuandoli dalla decisione del Tribunale" e senza dunque null'altro aggiungere nella motivazione circa la quantificazione, di fatto, inferiore. La liquidazione in via equitativa non deve però ridursi ad un mero arbitrio decisionale del giudice; come ha più volte avuto modo di esprimersi la Suprema Corte anche relativamente al potere di liquidazione in via equitativa riconosciuto ex lege al giudice di pace, la quantificazione deve pur sempre trovare valido raffronto, ai fini di integrazione di ragionevolezza e logicità della motivazione, in norme positive, essendo tale possibilità concessa dall'ordinamento al fine di trovare la soluzione "più giusta" relativamente alla specificità del caso concreto.

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Foto: giudice sentenza martello
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