di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione lavoro, sentenza n. 23357 del 15 Ottobre 2013. E' illegittimo il licenziamento del dipendente intervenuto a seguito di cessione del ramo d'azienda se il lavoratore, di fatto, viene comunque mantenuto in forze nello stesso reparto ceduto e se lo stesso reparto, prima della cessione, ha subito un mutamento ad hoc che di fatto non ha mutato l'assetto organizzativo ma ne ha solo cambiato la denominazione; a maggior ragione se il dipendente, prima che fosse perfezionata l'operazione, ha espresso il proprio dissenso circa la stessa cessione.

Il lavoratore ha impugnato il licenziamento, ottenendo dal giudice di primo e secondo grado la reintegrazione in azienda nonché il risarcimento del danno per il torto subito. La Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dall'azienda, limitandosi a confermare la logicità della motivazione redatta dal giudice d'appello: la Cassazione è infatti giudice di legittimità e non ha potere di sindacare il merito delle scelte effettuate dal giudice di secondo grado nel pronunciare la sentenza impugnata, se non nei limiti di cui all'art. 360 c.p.c. Il ricorso in Cassazione è infatti c.d. "a critica vincolata" e la Suprema Corte ha soltanto il potere di sindacare laddove ravvisi, al limite, carenza o contraddittorietà di motivazione dovuta ad erronea interpretazione ed applicazione di norme giuridiche. Circostanza che, nel caso in oggetto, non si è verificata.

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