Avv. Fabrizio Zagarella -  Con ricorso per decreto ingiuntivo n.xxx emesso il X dal Tribunale di WWW, veniva ingiunto a AA di pagare in favore di CC, la somma derivante dall'uso di locali da CC condotti in locazione da potere di un terzo, e di altri beni. 

Il thema decidendum della causa corrispondeva alla verifica della sussistenza o meno del contratto di locazione in forza del quale il terzo CC aveva concesso in locazione all'opponente AA, presunta mandante di TC, la porzione dei locali del medesimo CC. Tale dilemma comportava l'accertamento della dovuta o meno restituzione dalla parte di CC resistente dei canoni corrispostigli dall'asserta mandante e/o se tale restituzione dovesse esser effettuata anche o soltanto dal rappresentante senza mandato TC (terzo chiamato in causa) anche a titolo di responsabilità per mala gestio dello stesso.

Quanto al primo dei quesiti, oggetto del petitum principale formulato dall'opponente AA, la legge finanziaria del 2005 (L. 30.12.2004 n. 311, art. 1, comma 346), avendo elevato siffatta norma tributaria al rango di norma imperativa, la sua violazione è rilevabile dal giudice ex officio in ogni stato e grado della causa. (Cass. S.U. 4.09.2012 n. 14828) e portano il presunto contratto di locazione data successiva al 1° gennaio 2005..

La norma in riferimento va infatti ad aggiungere un nuovo requisito di sostanza per la esistenza del contratto di locazione a quelli già prescritti dalla disciplina sostanziale civilistica e tributaria (forma scritta, sottoscrizione delle parti nei contratti locatizi per un tempo superiore ai trenta giorni) (forma scritta, sottoscrizione delle parti ed atto pubblico o scrittura privata autenticata nei contratti di locazione con periodi superiori ai nove anni) (forma scritta, sottoscrizione delle parti contraenti e registrazione nei contratti di locazione di qualsiasi tipologia d'uso con periodi superiori ad un anno o indeterminabili). 

Invero nel caso di specie la nascita del rapporto locatizio, sia pure di porzione dei locali, scaturirebbe da un documento sociale sottoscritto dal solo TC sedicente rappresentante del presunt conduttore dei locali di CC. Con tale documento TC, spendendo il nome del mandante AA, dispose di diritti del predetto in assenza di autorizzazione degli organi tutori dello stesso, avendo esso natura associativa, e costituendo in danno dell'asserto mandante obblighi non dovuti né utili ai fini statutari dell'Ente stesso.

Peraltro tali disposizioni venivano assunte in pieno conflitto di interessi con lo stesso AA, rivestendo TC anche la figura di rappresentante legale di CC e perciò beneficiario delle disposizioni patrimoniali assunte.

Nel caso di cui ci si occupa il presunto contratto, dal quale il locatore CC trarrebbe il suo diritto al pagamento delle somme per cui ha ottenuto decreto ingiuntivo, è privo di esistenza giuridica, ovvero, attesocchè nel campo civilistico la dottrina non riconosce la figura della inesistenza giuridica, è radicalmente nullo per violazione degli artt. 1418 c.c. I°, II° e III° comma c.c., per violazione di una norma imperativa qual è l'art. 1, comma 346 della L. n. 311/2004; perché mancano i requisiti di cui all'art. 1325 n. 1 e 4, del cod. civ., cioè l'accordo delle parti e la forma poiché richiesta a pena di nullità; perché il contratto è stato costituito sua sponte da un soggetto privo di poteri rappresentativi del soggetto parte conduttrice. 

Tale nullità del contratto dedotto in ricorso ex art. 633 e segg. C.p.c. dovrebbe comportare la declaratoria di illegittimità della detenzione di porzione dei locali oggetto di causa. Ma non avendo mai usufruito la mandante AA dei beni locati, non sussiste nemmeno l'eccepita occupazione sine titulo che legittimerebbe la domanda riconvenzionale formulata da CC contro AA di pagamento delle somme ingiunte anche al diverso titolo di indennità ex art. 1591 c.c..

Il potere rappresentatitvo è conferito dalla legge oppure dall'interessato ai sensi dell'art. 1387 c.c.. Il contratto concluso dal rappresentante in nome nell'interesse del rappresentato, nei limiti delle facoltà conferirgli, produce effetti direttamente nei confronti del rappresentato (art. 1388 c.c.). E' annullabile il contratto che il rappresentante conclude con se stesso (costituito dal contratto in cui il rappresentante assume la posizione di parte sostanziale contrapposta a quella del rappresentato, ovvero in cui assume la rappresentanza delle parti contrapposte) in proprio o come rappresentante di un'altra parte a meno che il rappresentante lo abbia autorizzato specificatamente ovvero il contenuto del contratto sia determinato in maniera tale da escludere la possibilità di conflitto di interessi. In tal caso l'impugnazione può essere proposta soltanto dal rappresentato (ex art. 1395 c.c.).

Tuttavia nel caso di specie AA è ignaro dell'attività svolta da TC, atteso che è stato reso edotto delle disposizioni patrimoniali assunte da TC in suo nome soltanto col ricevimento di un atto di costituzione in mora e il suo potere rappresentativo era sottoposto a specifico controllo ed autorizzazione degli organi sociali e delle autorità tutorie che in precedenza mai l'avevano concessa.

La rilevata nullità radicale del negozio giuridico posto in essere da XXX assorbe la questione in esame.

Va posta l'attenzione invece sugli effetti dell'operato di TC. Dottrina insegna che chi ha contrattato come rappresentante senza potere o eccedendo i limiti delle facoltà conferitegli, è responsabile direttamente del danno che il terzo contraente ha sofferto per aver confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto (ex art. 1398 c.c.). In tal caso la responsabilità del falso rappresentante non costituisce responsabilità contrattuale, ma aquiliana ex art. 2043 c.c. poiché il falsus procurator non contrae in nome proprio e non assume obblighi di esecuzione del contratto. Il fatto illecito che dà luogo alla responsabilità del rappresentante senza poteri consiste nella lesione della libertà contrattuale dei terzo, essendosi il rappresentante avvalso, colposamente ovvero dolosamente, di una legittimazione inesistente per indurre il terzo a concludere un contratto inefficace. Vieppiù: la responsabilità del falso rappresentante sussiste anche quando lo stesso è consapevole di aver agito senza potere. 

Al riguardo il regime di distribuzione dell'onere della prova processuale (art. 2697 c.c.) impone all'opponente l'onere di provare l'assenza di poteri nel soggetto che assume di aver agito in nome del primo. Onorata tale prova, competerà all'accusato rappresentante senza poteri - nel caso di cui ci si occupa - il ricorrente ex art. 633 cpc che pretende il pagamento dei canoni locatizi, sollevarsi dalle conseguenze dell'assunto dell'opponente, non sussistendo alcuna presunzione legale al riguardo. 

La vicenda in esame da ragione agli assunti dell'opponente atteso gli esiti dell'istruttoria processuale. 

In virtù del comb. disp. degli artt. 1394 (conflitto d'interessi fra rappresentante e rappresentato) 2740 (responsabilità patrimoniale del debitore dell'adempimento delle obbligazioni) 2374, 2381, co.3, per superamento dei limiti dei poteri conferiti al singolo amministratore, 2391 comma 1°, 2392, comma 1°, 2545 - sexiesdecies, comma 1 e 2, (gestione commissariale) Cod. civ., l'Amministratore infedele risponde personalmente del danno provocato dalla sua gestione al soggetto falsamente rappresentato come ai terzi che hanno con lui negoziato in buona fede. Nel caso di specie tali danni corrispondevano a tutti i vantaggi patrimoniali di cui CC ebbe ad usufruire da parte di AA.

Avv. Fabrizio Zagarella - avvzagarella@libero.it


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