Il Redditometro da solo non basta a provare l'evasione - sentenzia la Suprema Corte di Cassazione - quando il contribuente possa provare che il proprio tenore di vita sia frutto di onesti risparmi accumulati in precedenza.

La sentenza n. 21994 del 25 settembre 2013 accoglie il ricorso di due coniugi ai quali l'Agenzia delle Entrate aveva contestato il reato sulla base del redditometro. La coppia aveva giustificato il proprio status familiare sulla base di documenti che attestavano i risparmi accumulati in precedenza. Ma il fisco non aveva sentito ragioni, ignorando semplicemente i documenti e le dichiarazioni.

Ma i giudici di Piazza Cavour sono di tutt'altro parere. Secondo la sentenza, infatti, il fisco deve essere in grado di dimostrare che il tenore di vita familiare non sia riconducibile ai risparmi accumulati nel tempo ma che l'evasione sia relativa allo stesso anno in esame. Inoltre, qualsiasi attribuzione automatica di presunzione di colpa è ingiusta e il nuovo redditometro è da considerare una "presunzione semplice" che non implica in nessun caso l'attribuzione dell'onere della prova al contribuente.

Infatti, l'accertamento con il redditometro si basa su considerazioni statistiche elaborate sulla base di un dato medio-normale che non può essere ritenuto reale di per sé, ma deve essere riportato alla situazione effettiva del contribuente. Questo implica che l'Agenzia delle Entrate è obbligata a raccogliere i dati reali per accertare la presunta violazione; è, insomma, l'Ufficio delle Entrate a dover giustificare ai giudici la presunzione dell'evasione e non viceversa.
Biagiotti

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