Con la sentenza n.38034/2013 la Corte di Cassazione richiamando l'attenzione sull'articolo 727 del Codice Penale sul maltrattamento degli animali, ha ricordato che l'utilizzo di tale strumento è incompatibile con l'esigenza di garantire le condizioni ottimali di detenzione e di custodia dell'animale. 

Secondo la Cassazione l'utilizzo del collare antiabbaio è da ritenersi lesivo della libertà dell'animale e, pertanto, inscrivibile fra i dispositivi atti a provocarne maltrattamenti, così come previsto dal Codice Penale.  

Lo stesso principio era stato già affermato con una sentenza del 2007, quando al proprietario di un animale era stato contestato esclusivamente l'uso, e non l'abuso, del dispositivo elettronico.

Sul comportamento del proprietario, che utilizzava il collare per limitare i comportamenti molesti del cane, si era espresso un medico veterinario, il quale riteneva immotivato l'uso del dispositivo, ritenendolo nocivo e doloroso per il cane, oltre che incompatibile con la sua stessa natura.

Secondo il veterinario un collare antiabbaio comporta una serie di conseguenze pericolose e spesso irreversibili nell'animale, difficilmente compatibili con i principi educativi. La Cassazione, nella sentenza del 17 settembre 2013, riprende le opinioni del veterinario e ritiene che l'utilizzo del collare antiabbaio sia collegato ad un'educazione fondata sul dolore, capace di incidere sulla natura psicofisica del cane, danneggiandola irreparabilmente.

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