di Antonella Aloia -Il diritto al rimborso per le attività compiute di propria iniziativa dal singolo condomino, senza la previa autorizzazione dell'assemblea condominiale e dell'amministratore, sussiste solo qualora trattasi di spese urgenti, e tali non possono considerarsi quelle spese tese al mero miglioramento dell'immagine del condominio, quali la tinteggiatura dei muri esterni o gli interventi sugli impianti tecnologici.

Così si è pronunciata la Suprema Corte di Cassazione, sez. II, con la sentenza 3 settembre 2013 n.20154, la quale sancisce che l'intervento autonomo del condomino che avanza istanza di rimborso, deve essere dettato irrimediabilmente dall'esigenza di conservare la cosa comune e di eseguirne i relativi lavori in una situazione di necessità tale da non poter avvertire tempestivamente l'amministratore o gli altri condomini.
Non a caso, l'art. 1134 c.c., secondo il quale: "il condomino che ha assunto la gestione delle parti comuni senza autorizzazione dell'amministratore o dell'assemblea non ha diritto al rimborso, salvo che si tratti di spesa urgente", individua, in ordine alle spese anticipate dal singolo condomino, un regime differente rispetto al disposto contenuto nell'art. 1110 c.c., rilevante in materia di comunione, a tenore del quale: "Il partecipante che, in caso di trascuranza degli altri partecipanti o dell'amministratore, ha sostenuto spese necessarie per la conservazione della cosa comune, ha diritto al rimborso".

Già con la sentenza n. 2046 del 2006, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si erano preoccupate di chiarire che la diversità della disciplina prevista dagli artt. 1134 e 1110 c.c, in materia di rimborso delle spese per la conservazione delle cose comuni, rispettivamente nella comunione e nel condominio

degli edifici, trova fondamento sul diverso presupposto oggettivo dell'urgenza e della trascuranza: "il maggiore rigore della disciplina in tema di condominio degli edifici rispetto alla comunione dipende dalla diversa utilità dei beni, che formano oggetto dei differenti diritti: l'utilità strumentale per i beni in condominio e l'utilità finale per i beni in comunione. La indivisibilità dei beni in condominio (art. 1119 c.c.) dipende dalla utilità strumentale, essendo strettamente legata al godimento delle unità immobiliari. Dalla virtuale perpetuità del condominio deriva l'opportunità che i condomini non interferiscano nella amministrazione delle parti comuni dell'edificio. Dalla normale divisibilità nella comunione, invece, segue che il comunista insoddisfatto dell'altrui inattività, se non vuole chiedere lo scioglimento (art. 1111 c.c.), può decidere di provvedere personalmente".

Orbene, a giudizio degli ermellini, con riguardo al condominio, la trascuranza degli altri partecipanti e dell'amministratore non è sufficiente. In buona sostanza, "il condomino non può, senza interpellare gli altri condomini e l'amministratore e, quindi, senza il loro consenso, provvedere alle spese per le cose comuni, salvo che si tratti di spese urgenti. (...) Il divieto per i singoli condomini di eseguire di propria iniziativa opere relative alle cose comuni cessa quando si tratta di opere urgenti, intendendosi quelle che, secondo il criterio del buon padre di famiglia, appaiano indifferibili allo scopo di evitare un possibile, anche se non certo, nocumento alla cosa comune, l'urgenza dovendo essere commisurata alla necessità di evitare che la cosa comune arrechi a sè o a terzi o alla stabilità dell'edificio un danno ragionevolmente imminente, ovvero alla necessità di restituire alla cosa comune la sua piena ed effettiva funzionalità".

Antonella Aloia


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