di Marco Massavelli - Corte di Cassazione Civile, Sezione Lavoro, sentenza n. 19814 del 28 agosto  2013. Per mobbing si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità. Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datare o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio.

Nel caso specifico, trattato nella sentenza in commento, i fatti denunciati (irrilevanti o rimasti indimostrati), hanno assunto solo nella percezione soggettiva della ricorrente una valenza lesiva della sua personalità: le risultanze della prova testimoniale, unitamente a quelle medico-legali espresse nella c.t.u. hanno tratteggiato un atteggiamento tendente a personalizzare come ostile ogni avvenimento e tale da creare tensione nei rapporti di lavoro.

In tema di valutazione delle risultanze probatorie, in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli articoli 115 e 116, cod. proc. civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all'articolo 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità.

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