di Marco Massavelli - Corte di Cassazione Civile, sezione III , sentenza n. 18328 del 31 Luglio 2013. La Cassa che applica in ritardo ai suoi iscritti una norma solo perchè il testo è incerto e sibillino non è tenuta a risarcire il professionista per eventuali ritardi o omissioni della prestazione previdenziale. E' quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, con sentenza 31 luglio 2013, n. 18328.

In base all'articolo 366bis, cod. proc. civ., il ricorrente che denunci, con ricorso in cassazione, un vizio di motivazione della sentenza impugnata è tenuto, a conclusione del motivo, a sintetizzare le sue censure nel c.d. quesito di fatto, cioè in una proposizione analoga al quesito di diritto che indichi chiaramente, in modo sintetico, evidente ed autonomo, il fatto controverso rispetto al quale la motivazione si assume omessa o contradditoria, cosi come le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. 

Il quesito di diritto, invece, deve essere formulato in modo da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza

impugnata. Esso deve cioè contenere: a) l'esposizione degli elementi di fatto sottoposti all'esame del giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare. Il quesito quindi non deve risolversi in una enunciazione di carattere generico ed astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente.

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