di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione sesta, ordinanza n. 17077 del 10 Luglio 2013. In tema di responsabilità professionale, l'attore che si attiva al fine di richiedere il risarcimento del danno causato da negligenza ed imperizia del professionista deve formulare chiaramente e specificamente le proprie doglianze. Nel caso di specie, a seguito di un primo accoglimento della domanda proposta dai danneggiati da parte del Tribunale e di una successiva radicale riforma ad opera della Corte d'Appello, la Suprema Corte si è pronunciata in merito al ricorso di due coniugi, obbligati al versamento di una somma di denaro al fine di liberare un bene oggetto di pignoramento, bene a suo tempo destinato a fondo patrimoniale la cui annotazione è stata a suo tempo omessa dal notaio.

Pur essendo palese l'imperizia e la negligenza del professionista, la Cassazione ha rigettato il ricorso poiché i danneggiati si sono limitati a richiedere la condanna del professionista ancorando e quantificando la stessa nel "valore di stima" del bene oggetto di pignoramento. La Suprema Corte avalla le motivazioni già addotte dalla Corte d'Appello, in particolare come "il danno ingiusto, conseguente all'inadempimento del notaio, non poteva individuarsi nell'esborso effettuato dagli attori a citazione dei loro creditori (…); il danno eziologicamente riconducibile alla mancata annotazione della convenzione dovesse identificarsi (…) con quello conseguente la sottrazione ai bisogni della famiglia dei beni costituiti in fondo patrimoniale". Sottolinea inoltre come i ricorrenti avessero violato il requisito della specificità dei motivi ex art. 366 co6 cod. civ., essendosi gli stessi limitati nel ricorso a far generico riferimento ai documenti allegati già in sede d'appello.

Il ricorso viene quindi rigettato e considerato "ai limiti dell'inammissibilità".


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