di Teresa Fiortini - Corte di cassazione - Sezione I penale - Sentenza n. 26457 del 18 giugno 2013. Doverosa è la premessa che affittare un appartamento, una stanza d'albergo o un posto in campeggio a stranieri non in regola con il permesso di soggiorno non è (e non è mai stato) previsto dalla legge come reato (è sufficiente l'esibizione di un valido documento di riconoscimento). Ciò che, invece, va denunciata all' autorità locale di pubblica sicurezza è l'ospitalità data allo straniero. A tal proposito vale la pena ricordare che l'articolo 7 del T.U. sull'immigrazione
stabilisce che "Chiunque, a qualsiasi titolo - sia a pagamento sia gratuitamente a titolo di ospitalità anche precaria - dà alloggio ad uno straniero o apolide, anche se parente o affine, o lo assume per qualsiasi causa alle proprie dipendenze, ovvero cede allo stesso la proprietà o il godimento di beni immobili - siano essi rustici o urbani - posti nel territorio dello stato, è tenuto a darne comunicazione scritta entro 48 ore all' autorità locale di pubblica sicurezza". "La comunicazione - precisa il comma 2 dello stesso articolo 7 - comprende le generalità del denunciante, quelle dello straniero o apolide, gli estremi del passaporto
o del documento di identificazione che lo riguardano, l'esatta ubicazione dell'immobile ceduto o in cui la persona è alloggiata, ospitata, o ove presta servizio e il titolo per il quale la comunicazione è dovuta"
. La recente sentenza ha visto protagonista una donna che era stata condannata da Tribunale e Corte di Appello di Milano alla pena di un anno di reclusione ed € 6.000 di multa per aver affittato (regolarmente) un proprio appartamento (dietro pagamento di congrua pigione) a due cittadini extracomunitari senza permesso di soggiorno, e, dunque, per aver favorito la loro permanenza in Italia al fine di trarre profitto dalla loro condizione di illegalità. In particolare, era emerso che l'imputata aveva prestato il suo nome all' inquilina-clandestina consentendo, in tal modo, l'elusione delle norme sulla registrazione del contratto
e di quelle sulla pubblica sicurezza e ciò avrebbe consentito lo sfruttamento dell' immigrazione clandestina al fine di trarne un ingiusto profitto. Di diverso avviso i Supremi giudici della prima Sezione penale della Cassazione che, annullando la condanna con la sentenza 26457/2013 hanno chiarito che: "L'integrazione del reato necessita dell'elemento soggettivo del dolo specifico [..] e cioè dalla sussistenza in capo all' agente del fine di trarre un profitto ingiusto". Ma nulla di nuovo sotto il cielo della Cassazione in quanto, con sentenza n. 46070 del 2003, aveva già avuto modo di sostenere «ai fini della configurazione del reato di favoreggiamento della permanenza nel territorio dello Stato di immigrati clandestini.., nell'ipotesi di rapporto contrattuale instaurato con essi, occorre accertare la sussistenza, in capo all' agente, del dolo specifico, consistente nella finalità di trarre ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero clandestino» e che "la concessione di un alloggio ad una persona in condizione irregolare non costituisce reato, a meno che non sia praticato un canone d'affitto esorbitante rispetto al canone normalmente praticato alle persone regolari e quindi non si ricavi in maniera evidente dal comportamento del soggetto ritenuto responsabile che egli sta approfittando della condizione di illegalità di uno straniero e che sta favorendo volontariamente e dolosamente la sua presenza irregolare sul territorio italiano".
Teresa Fiortini

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