di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione prima, sentenza n. 14190 del 5 giugno 2013. E' legittima la nomina ad amministratore di sostegno di un professionista estraneo e non legato di rapporti di parentela con il beneficiario. Lo ha stabilito la Suprema Corte nella sentenza in oggetto, confermando la decisione già espressa dal giudice di merito. La Cassazione ha infatti accertato che questa sarebbe la soluzione più idonea a tutelare l'interesse dell'amministrata, poiché è stata accertata la presenza di conflittualità interna ai familiari della stessa. Conflittualità che non consentirebbe neanche a congiunto convivente di assumersi l'incarico mantenendo la dovuta imparzialità. Pur essendo stato il libero professionista successivamente sostituito con un familiare dell'assistita, la pronuncia in oggetto espone un principio di diritto molto importante.

 

L'amministratore di sostegno di cui all'art. 407 cod. civ. è quella figura istituita dal legislatore che si affianca giuridicamente all'individuo la cui capacità di agire sia carente. Ciò al fine di tutelare la gestione patrimoniale dei soggetti "deboli".  Nel caso in oggetto il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta dai familiari dell'amministrato circa la sua interdizione o inabilitazione

, provvedendo contestualmente alla nomina di un amministratore di sostegno provvisorio individuato nella persona di un libero professionista. Gli interessati proposero reclamo avverso il decreto di nomina, reclamo rigettato successivamente in sede d'appello. La decisione del giudice del merito è fondata sull'accertata esistenza tra i familiari del tutelato di un grave conflitto che avrebbe impedito la normale collaborazione richiesta tra amministrato e amministratore. Inoltre, gli interessati non avrebbero adeguatamente provato di essere i soggetti più idonei ad accollarsi la responsabilità d'amministrare il patrimonio del soggetto amministrato.

 

La Suprema Corte, dopo aver rigettato la richiesta di pronuncia di nullità del decreto impugnato poiché non presente nella sua intestazione l'indicazione di tutte le parti del giudizio principale (tale omessa indicazione non sarebbe infatti motivo di nullità del provvedimento) essendo la sua funzione meramente indicativa - purchè venga instaurato correttamente il contraddittorio - non ravvisa alcun difetto di motivazione della sentenza di merito: il giudice avrebbe correttamente esaminato gli elementi a disposizione, tenendo anche adeguatamente conto delle richieste dell'interessata, pur sempre applicando il principio che impone il primario interesse della tutela del patrimonio dell'amministrato. Inoltre la doglianza dei familiari "è inammissibile perché privo di autosufficienza e concretezza il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in cui non siano specificamente indicati i fatti controversi in relazione ai quali la motivazione si assume carente, né siano indicati i profili di rilevanza di tali fatti".

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