di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione prima, sentenza n. 14336 del 6 giugno 2013. Nel caso di specie la ex moglie ricorre in Cassazione impugnando la sentenza d'appello statuente l'insussistenza dell'obbligo di versamento dell'assegno di mantenimento da parte dell'ex coniuge. Il giudice di merito ha ritenuto non essere necessario disporre indagini patrimoniali approfondite a carico dell'ex marito poiché, dagli elementi emersi in corso di causa, non sarebbe emersa alcuna disparità patrimoniale tra i due soggetti. Durante il periodo di separazione consensuale l'ex marito avrebbe fornito alla moglie i mezzi necessari per avviare un'attività commerciale autonoma, e fornirle dunque adeguato sostentamento. Le parti avevano poi sottoscritto accordo regolante i rispettivi rapporti patrimoniali, contratto che era stato rispettato sino al giudizio di divorzio.

 

La situazione economica della ricorrente, durante il giudizio di divorzio, non è mutata; ciò è bastato a convincere il giudice d'appello a non ritenere sussistenti le condizioni di inadeguatezza patrimoniale fondamentali per l'attribuzione dell'assegno divorzile. "Non era pertanto necessario disporre le indagini patrimoniali richieste (…) non avendo rilievo, alla luce del complesso degli elementi di fatto accertati, il rigoroso accertamento delle rispettive situazioni economico-patrimoniali ai fini della decisione". La Corte d'Appello ha riscontrato che "le condizioni economico patrimoniali degli ex coniugi non presentavano disparità essendo (…) peggiorate" quelle dell'ex marito, rimanendo invece stabili quelle dell'ex moglie.

 

"Il giudice del merito, ove ritenga aliunde raggiunta la prova dell'insussistenza dei presupposti che condizionano il riconoscimento dell'assegno di divorzio, può procedere al rigetto dell'istanza senza disporre preventivamente accertamenti officiosi attraverso la polizia tributaria, atteso che l'esercizio di tale potere rientra nella discrezionalità del giudice, non trattandosi di un adempimento imposto dall'istanza di parte". La Suprema Corte non ha riscontrato vizi di motivazione né illogicità nel ragionamento del giudice di merito; di conseguenza ha rigettato il ricorso.

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