di Paolo M. Storani - Cosa accade se dobbiamo predisporre un ricorso per cassazione e la decisione da impugnare si fonda su di una pluralità di ragioni, fra loro distinte ed autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico-giuridico?
Si rischia la declaratoria di inammissibilità per difetto di interesse se non assoggettiamo a censura tutte le singole ragioni.
Infatti, quand'anche fondate, l'accoglimento delle ragioni che abbiamo dedotto in cassazione non potrebbe comunque condurre, stante l'intervenuta definitività delle altre non impugnate, all'annullamento della decisione del giudice di secondo grado.
Il baricentro della poderosa pronuncia, frutto del calamaio del Cons. Franco De Stefano sotto la presidenza della Terza Sezione di Francesco Trifone, è costituito dal punto 7.4 della motivazione in cui il S.C. richiama anche, quali precedenti più ravvicinati sotto il profilo temporale, Cass. 28 gennaio 2013, n. 1891 e Cass. 23 gennaio 2013, n. 1610
La prima di tali decisioni, Cass. 1891/2013, è opera del Cons. Raffaele Frasca e decide un ricorso per cassazione avverso un pronunciamento della Corte di Appello di Caltanissetta: "Ora la prima ratio decidendi sarebbe stata l'unica da impugnare, alla stregua dell'insegnamento di Cass. sez. un. n. 3840 del 2007, atteso che essa esauriva la potestas iudicandi della Corte nissena. Ma i due motivi non se ne occupano. Ne discende che essi sono inammissibili alla stregua del principio di diritto secondo cui "Il motivo d'impugnazione è rappresentato dall'enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d'impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l'esercizio del diritto d'impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell'esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un non motivo, è espressamente sanzionata con l'inammissibilità ai sensi dell'art. 366 cod. proc. civ., n. 4" (Cass. n. 359 del 2005, seguita da numerose conformi)".
La seconda pronuncia menzionata quale precedente di giurisprudenza viciniore è Cass. 1610/2013, ove rinveniamo ancora Francesco Trifone quale Presidente con Rel. Raffaele Frasca, che analogamente sanziona con l'inammissibilità il ricorso: eccone il passo assorbente:
...Ciò, alla stregua di consolidata giurisprudenza di questa Corte (si veda Cass. n. 14740 del 2005, secondo cui, "Allorquando la sentenza assoggettata ad impugnazione sia fondata su due diverse rationes decidendi, idonee entrambe a giustificarne autonomamente le statuizioni, la circostanza che l'impugnazione sia rivolta soltanto contro una di esse, e non attinga l'altra, determina una situazione nella quale il giudice dell'impugnazione (ove naturalmente non sussistano altre ragioni di rito ostative all'esame nel merito dell'impugnazione) deve prendere atto che la sentenza, in quanto fondata sulla ratio decidendi non criticata dall'impugnazione, è passata in cosa giudicata e desumere, pertanto, che l'impugnazione non è ammissibile per l'esistenza del giudicato, piuttosto che per carenza di interesse"; un più consistente orientamento perviene alla stessa conclusione adoperando il criterio dell'interesse: da ultimo Cass. n. 22753 del 2011)".
Bene: ora veniamo alla pronuncia fresca d'inchiostro, quella pubblicata appena il 24 maggio 2013, che può essere così sintetizzata. MASSIMA DI LIA - SE UNA PRONUNCIA SI BASA SU PIU' RAGIONI, TUTTE INDONEE A SORREGGERLA, IL RICORRENTE DEVE PARTITAMENTE IMPUGNARLE.
Quello che segue ora è il testo pressoché integrale della pronuncia che presentiamo ai visitatori di Law In Action.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 18 aprile - 24 maggio 2013, n. 12995
Presidente Trifone - Relatore De Stefano

Svolgimento del processo
1. R., anche quale esercente la potestà sui figli minorenni, convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli il marito P. - da cui si era separata - e C. e G. , nelle rispettive qualità di venditore, acquirente e procuratore dell'acquirente della casa coniugale di via (omissis).
L'attrice chiese dichiararsi nei suoi confronti l'inefficacia, ai sensi dell'art. 2901 cod. civ., del relativo atto di acquisto del 26.1.96, trascritto in data anteriore alla trascrizione del provvedimento presidenziale in sede di separazione, attesa la consapevolezza, in capo ai C., del contenuto di quest'ultimo, con cui era stato imposto al marito un assegno mensile di L.400.000 e la casa stessa assegnata alla moglie ed ai figli.
I C. contestarono - oltre alla legittimazione passiva del procuratore dell'acquirente - la pretesa avversaria nel merito, adducendo la piena consapevolezza, da parte della M., della messa in vendita della casa, necessaria del resto proprio per il soddisfacimento di tutti gli obblighi derivanti al D. dalla separazione e seguita appunto dal pagamento, col reimpiego di parte del prezzo così ricevuto, dei relativi arretrati; e, in via riconvenzionale, chiesero anzi la condanna di controparte al risarcimento dei danni, da liquidarsi peraltro in separata sede, patiti dall'instaurazione del giudizio.
Intervenne poi, siccome nelle more divenuto maggiorenne, C.
Espletata istruttoria orale, il tribunale partenopeo - con sentenza n. 959 del 26.1.04 - dichiarò il difetto di legittimazione passiva di G.C. e rigettò la domanda dei M. - D.N. e la riconvenzionale dei C., compensando le spese di lite.
Interposto appello dai M. - D.N. , al quale resistettero i C. con appello incidentale, la corte napoletana accolse - sia pure non integralmente - solo il gravame principale e quindi l'originaria revocatoria, dichiarando inefficace, nei confronti dei primi e per la ritenuta sussistenza tanto dell'elemento soggettivo che di quello oggettivo della dispiegata domanda, l'atto di acquisto dell'immobile per cui era causa, pure ordinando al Conservatore dei RR.II. la trascrizione della sentenza e compensando tra le parti le spese del doppio grado.
Per la cassazione di tale sentenza, resa in data 3.3.09 col n. 758 e addotta come notificata alla parte di persona il 17.9.09, ricorre oggi, affidandosi a quattro motivi, V.C.; resistono con controricorso R. ed i figli C. e F. (quest'ultimo divenuto anch'egli maggiorenne nelle more del giudizio); e, per la pubblica udienza del 18 aprile 2013, la ricorrente deposita memoria ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ..

Motivi della decisione

2. Va premesso che - confermata la sentenza di primo grado solo quanto al difetto di passiva legittimazione di C.G., in quanto semplice rappresentante dell'acquirente C.V. in sede di rogito - la corte territoriale, per accogliere la domanda dei M. - D.N.: ha ritenuto sussistere la "piena consapevolezza", in capo all'acquirente C., di un pregiudizio arrecato dall'atto di compravendita agli attori, essendo ella consapevole dell'assegnazione dell'immobile acquistato alla moglie in sede di separazione e della sua occupazione di parte di lei; ha rimarcato l'irrisorietà del prezzo di vendita (L. 406.000.000 di 7,5 vani, con annesso giardino, nella "prestigiosa e residenziale via ..."); ha affermato l'irrilevanza della destinazione del prezzo al soddisfacimento di tutte le obbligazioni incombenti al marito separato e venditore P.D.N., perché comunque il provvedimento presidenziale aveva posto a carico di quest'ultimo anche l'obbligo di "garantire... un tetto alla moglie ed ai figli", obbligo che, con la compravendita oggetto di revocatoria, sarebbe rimasto definitivamente inadempiuto; ha escluso un consenso della M., desumendo anzi il contrario dalla querela per violazione di domicilio da lei sporta contro il C.
3. La ricorrente V.C. , ampiamente esposti i fatti di causa e lamentato - tra l'altro, parzialmente documentandolo - il coinvolgimento della criminalità organizzata per impedirle di conseguire il pacifico godimento del bene immobile acquistato ed interamente pagato, sviluppa quattro motivi ed in particolare: con un primo (di violazione e falsa applicazione dell'art. 2901 cod. civ.), ella ripropone la tesi della esenzione dalla revocatoria degli atti destinati al pagamento di debiti scaduti, quale doveva ritenersi quello per cui era causa, per essere il relativo prezzo stato destinato al soddisfacimento degli obblighi già facenti capo al venditore in dipendenza dei provvedimenti di separazione personale dalla coniuge R..M.; e conclude con molteplici quesiti di diritto (alle pagine da 34 a 37 del ricorso);
- con un secondo (di violazione e falsa applicazione dell'art. 2909 cod. civ.), lamenta violazione di un giudicato possessorio tra le parti, concludendo con un articolato quesito di diritto (pagine 39 e 40 del ricorso);
- con un terzo, lamenta diversi vizi motivazionali su almeno sette punti qualificati come decisivi e controversi, formulandone amplissima "sintesi" e, conclusivamente, alle pagine 59 e 60 del ricorso;
- con un quarto, di violazione e falsa applicazione dell'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, lamenta l'erroneità dell'interpretazione della corte territoriale in punto di esclusione della revocabilità, nella fattispecie, di una compravendita il cui prezzo era stato destinato a soddisfare debiti scaduti del venditore; e conclude con un quesito di diritto articolato su almeno tre ampi periodi (pagine 62 e 63 del ricorso).
4. I controricorrenti, dal canto loro, ricostruiti i fatti di causa: eccepiscono preliminarmente la carenza della loro qualità di eredi di P.D.N., per avervi rinunziato prima della notifica del ricorso per cassazione; lamentano l'irritualità della richiesta di trasmissione del fascicolo; deducono la violazione dell'art. 366 bis cod. proc. civ., per non conformità dei quesiti alla giurisprudenza sul punto elaborata; negano l'ammissibilità della produzione, nella presente sede di legittimità, di documenti sul procedimento penale e, comunque, nuovi o mai prodotti in precedenza; leggono gli atti del procedimento penale - sull'inammissibilità della cui produzione invocano il giudicato interno - in senso diverso dalla ricorrente, adducendo non avere mai la M. riportato alcuna condanna definitiva; negano l'ammissibilità dell'eccezione sull'addotto giudicato sul ricorso ex artt. 669-novies e 612 cod. proc. civ. e della relativa produzione, neppure conforme al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione; deducono l'inammissibilità per novità e la falsità di altre asserzioni operate in ricorso; sostengono la formazione di giudicato interno sulla consapevolezza, da parte della C., del pregiudizio arrecato ai M. - D.N. con la compravendita; negano qualsiasi preventivo o successivo consenso della M. alla compravendita, al contempo ribadendo la conoscenza, in capo a controparte, dell'occupazione dell'unitario immobile che ne era oggetto; richiamano il dato dell'irrisorietà del prezzo di acquisto; contestano l'adempimento delle obbligazioni alimentari del D.N. per il tempo successivo alla compravendita, tanto da configurare il pregiudizio, rilevante ex art. 2901 cod. civ., anche per queste ultime; adducono una separata scrittura, coeva al rogito, in cui l'acquirente si dichiarava a conoscenza dello stato di fatto dell'immobile; riferiscono del rigetto della domanda, dispiegata in altro giudizio dalla C., per fare dichiarare senza titolo la loro occupazione dell'immobile per cui è causa.
5. Non è fondata la preliminare eccezione di inammissibilità del ricorso in dipendenza dell'intervenuta rinuncia all'eredità di P..D.N. da parte degli intimati.
5.1. È ben vero che, nell'azione prevista dall'art. 2901 cod. civ. avente ad oggetto un contratto, sono parti necessarie ed indefettibili entrambi i contraenti, cioè il debitore alienante ed il terzo (Cass. 26 luglio 2002, n. 11005; Cass., ord. 7 novembre 2011, n. 2 30 68; in precedenza, quali presupposti della specifica decisione: Cass. 8 settembre 1986, n. 5493; Cass. 10 giugno 1964, n. 1441); infatti, l'accoglimento della domanda comporta, per effetto dell'assoggettamento del terzo alle azioni esecutive sul bene oggetto dell'atto di disposizione impugnato, l'acquisto da parte di costui di ragioni di credito verso l'alienante (art. 2902, cpv., cod. civ.), nonché, oltre ad altri effetti immediati e diretti (quali l'obbligo della restituzione del prezzo a seguito dell'evizione della cosa), postula nei confronti del debitore l'accertamento della sua frode e dell'esistenza del credito: pertanto, dell'intero giudizio debbono necessariamente essere parti il terzo acquirente ed il debitore alienante e, nel caso di morte di costoro, i loro eredi (tra le ultime, v. Cass. 5 luglio 2000, n. 8952). 5.2. E non è meno vero che, a seguito della rinuncia, da parte degli odierni intimati, all'eredità del debitore e venditore D.N.P. , idoneamente documentata come avvenuta con atto per notar Gaeta del 14.5.09 e annotata presso il Registro Successioni del tribunale di S. Maria C.V. - sez. dist. di Carinola, la notifica, a partire dal 26.2.10, del ricorso per cassazione ai chiamati all'eredità R..M. , D.N.C. e F. è inidonea ad instaurare il necessario contraddittorio coi successori universali del detto venditore. 5.3. Di certo, la tesi, sviluppata dalla ricorrente in memoria, sulla sopravvenuta carenza dei presupposti della revocatoria per l'inesistenza di eredi del venditore non può accogliersi: alla morte di chiunque non si ha mai una situazione di carenza di chiamati all'eredità e tanto meno di eredi, soccorrendo i principi generali del diritto successorio, che escludono la vacanza del patrimonio del de cuius. In particolare, la delazione ereditaria si ha in favore di tutti i successibili (per testamento o per legge) per gradi e consecutivamente, mano a mano e in dipendenza delle eventuali rinunzie o di altri impedimenti dei precedenti; ed incombendo semmai a chi ne ha interesse di sollecitare la nomina di un curatore dell'eredità giacente, in attesa che fino all'ultimo successibile tutti si siano espressi al riguardo. 5.4. Orbene, pur essendo noto che, in caso di morte di una parte nel corso del giudizio, i suoi successori a titolo universale sono tutti litisconsorti necessari quando abbiano acquistato la qualità di eredi per accettazione espressa o tacita non essendo sufficiente la semplice chiamata all'eredità (tra le molte: Cass. 24 agosto 1998, n. 8391; Cass. 12 giugno 2006, n. 13571), l'avvenuta rinuncia all'eredità da parte dei precedenti chiamati non impone, in questo caso, l'ordine di integrazione del contraddittorio generalmente necessario nei confronti quanto meno o di chi si trovi ad essere erede o del curatore dell'eredità giacente (Cass. 14 novembre 2008, n. 2121, che pone l'onere dell'individuazione degli eredi effettivi - o, in mancanza di questi, della richiesta di nomina di un curatore di eredità giacente - a carico della controparte).
5.5. Infatti, tale necessità è esclusa in vista della concreta pronuncia da adottare nella fattispecie, in applicazione del principio di cui a Cass., ord. 22 marzo 2010, n. 6826 (seguita, tra le molte altre, da Cass. 18 gennaio 2012, n. 690; Cass. 25 gennaio 2012, n. 1032; Cass., ord. 8 novembre 2012, n. 19317), in forza del quale il rispetto del principio della ragionevole durata del processo impone, in presenza di un'evidente ragione di inammissibilità del ricorso, di definire con immediatezza il procedimento, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti di litisconsorti necessari cui il ricorso non risulti notificato, trattandosi di un'attività processuale del tutto ininfluente sull'esito del giudizio.
5.6. Inoltre, non sussiste neppure il profilo di irritualità della richiesta di trasmissione del fascicolo di ufficio alla corte di appello, alla stregua del documentato deposito dei documenti necessari.
6. Va, a questo punto, premesso che, essendo la sentenza impugnata stata pubblicata tra il 2.3.06 ed il 4.7.09, alla fattispecie continua ad applicarsi, nonostante la sua abrogazione (ed in virtù della disciplina transitoria di cui all'art. 58, comma quinto, della legge 18 giugno 2009, n. 69) l'art. 366 bis cod. proc. civ. e, di tale norma, la rigorosa interpretazione elaborata da questa Corte (Cass. 27 gennaio 2012, n. 1194; Cass. 24 luglio 2012, n. 12887; Cass. 8 febbraio 2013, n. 3079); sicché:
6.1. i motivi riconducibili ai nn. 3 e 4 dell'art. 360 cod. proc. civ. vanno corredati, a pena di inammissibilità, da quesiti che devono compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (tra le molte, v.: Cass. Sez. Un., ord. 5 febbraio 2008, n. 2658; Cass., ord. 17 luglio 2008, n. 19769, Cass. 25 marzo 2009, n. 7197; Cass., ord. 8 novembre 2010, n. 22704); d) questioni pertinenti alla ratio decidendi, perché, in contrario, difetterebbero di decisività (sulla necessità della pertinenza del quesito, per tutte, v.: Cass. Sez. Un., 18 novembre 2008, n. 27347; Cass., ord. 19 febbraio 2009, n. 4044; Cass. 28 settembre 2011, n. 19792; Cass. 21 dicembre 2011, n. 27901);
6.2. a corredo dei motivi di vizio motivazionale vanno formulati momenti di sintesi o di riepilogo, che devono consistere in uno specifico e separato passaggio espositivo del ricorso, il quale indichi in modo sintetico, evidente ed autonomo rispetto al tenore testuale del motivo, chiaramente il fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, come pure - se non soprattutto - le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (Cass. 18 luglio 2007, ord. n. 16002; Cass. Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass. 30 dicembre 2009, ord. n. 27680);
6.3. infine, è consentita la contemporanea formulazione, nel medesimo quesito, di doglianze di violazione di norme di diritto e di vizio motivazionale, ma soltanto alla imprescindibile condizione che ognuna sia accompagnata dai rispettivi quesiti e momenti di sintesi (Cass. sez. un., 31 marzo 2009, n. 7770; Cass. 20 dicembre 2011, n. 27649).
7. Ciò posto, il primo motivo - a prescindere dai dubbi sulla conformità dei relativi articolati quesiti, anch'essi comportanti un'eccessiva riproduzione del fatto specifico e l'esposizione di molteplici regulae iuris lamentate come violate o da applicare, ai rigorosi requisiti di cui al precedente punto 6.1 - è inammissibile.
7.1. È ben vero che l'adempimento di un debito scaduto costituisce un atto dovuto ed è pertanto irrevocabile, ai sensi dell'art. 2901, comma terzo, cod. civ., come pure che tale irrevocabilità si estende altresì agli atti coi quali il debitore abbia disposto di propri beni per procacciarsi la liquidità necessaria all'adempimento di un proprio debito, a nulla rilevando che il ricavato della vendita ecceda l'importo del debito scaduto, quando sia dimostrato che l'alienazione costituiva l'unico mezzo al quale il debitore, privo di altre risorse, poteva far ricorso per procurarsi il denaro (da ultimo, v.: Cass. 13 maggio 2009, n. 11051; Cass. 22 giugno 2009, n. 14557).
7.2. E tuttavia la ratio decidendi della corte territoriale si incentra sulla duplicità dei debiti posti a carico del venditore P., marito separato della M. e padre di D.N.C. e F.: uno relativo all'assegno di mantenimento (per i ratei pregressi) ed altro avente ad oggetto l'obbligo specifico di "garantire altresì un tetto alla moglie e ai figli". Da tale duplicità e soprattutto dalla persistenza se non altro del secondo di tali obblighi, nonché dal grave pregiudizio al suo reale adempimento derivante dalla vendita della casa coniugale, la corte di merito fa discendere l'irrilevanza di ogni ulteriore indagine sulla destinazione del prezzo di vendita al soddisfacimento, parziale o totale poco importa, del primo dei rilevati obblighi.
7.3. Tale ratio decidendi non è attinta dalla pure amplissima sua esposizione, visto che il molteplice quesito a corredo del primo motivo in esame non si fa carico di confutare le ragioni della statuizione sulla persistenza di un ulteriore debito anche per l'indeterminato futuro di protrazione dei bisogni familiari specificamente abitativi, pertanto certo intrinsecamente non ancora scaduto, come ostativa alla valutazione della destinazione del prezzo ricavato dalla vendita all'adempimento di un primo debito, appunto scaduto.
7.4. Eppure, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l'omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l'autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l'annullamento della sentenza (principio affermato ai sensi dell'art. 360-bis cod. proc. civ. da Cass., ord. 3 novembre 2011, n. 22753; tra le innumerevoli altre, v.: Cass. 28 gennaio 2013, n. 1891; Cass. 23 gennaio 2013, n. 1610; Cass. 11 febbraio 2011, n. 3386; Cass. 20 novembre 2009, n. 24540; Cass. 18 settembre 2006, n. 20118).
8. Il secondo motivo - a prescindere da dubbi di conformità ai requisiti di cui sub 6.1, analoghi a quelli riscontrati per il primo motivo - è anch'esso inammissibile, ma per violazione dei nn. 3 e 6 dell'art. 366 cod. proc. civ.: integrando esso una doglianza di violazione di giudicato esterno, era indispensabile la trascrizione in ricorso di tutti gli atti del giudizio al cui esito quello si è formato, al fine di consentire la valutazione dell'identità di personae, petita e causae petendi, indispensabile per la stessa astratta configurabilita dell'addotta violazione.
8.1. Infatti, se è vero che l'interpretazione di un giudicato esterno può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di cassazione con cognizione piena, tanto avviene nei limiti, però, in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza del principio desumibile dal n. 6 dell'art. 366 cod. proc. civ., con la conseguenza che, qualora l'interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il predetto ricorso deve riportare il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto (e quindi riproduzione idonea in ricorso) della motivazione e del dispositivo, atteso che il solo dispositivo non può essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale (Cass. 13 dicembre 2006, n. 26627; Cass. 13 marzo 2009, n. 6184; Cass. 30 aprile 2010, n. 10537).
Sul punto, poiché il provvedimento giudiziale su cui si fonda la tesi dell'esistenza di un giudicato esterno rilevante ai fini della decisione assume rispetto ad esso - in ragione della sua oggettiva intrinseca natura di documento - la natura di una produzione documentale, il requisito di ammissibilità del ricorso per cassazione indicato dall'art. 366 cod. proc. civ., n. 6, concerne in tutte le sue implicazioni anche una sentenza prodotta nel giudizio di merito, riguardo alla quale il motivo di ricorso per cassazione argomenti la censura della sentenza di merito quanto all'esistenza, alla negazione o all'interpretazione del suo valore di giudicato esterno (Cass., ord. 18 ottobre 2011, n. 21560).
8.2. Tanto non essendo avvenuto, non è stata posta in grado questa corte di legittimità, per la vista carenza del ricorso per cassazione, di valutare la portata del giudicato e la contestata correttezza dell'interpretazione data dalla corte territoriale: ed il relativo motivo resta inammissibile (Cass. 29 maggio 2012, n. 8565). E resta quindi assorbita - ed impregiudicata, benché inidonea a scalzare la validità della raggiunta conclusione in punto di rito - ogni ulteriore valutazione sull'idoneità di un giudicato possessorio, normalmente relativo ad elementi di mero fatto, ad incidere - in un senso o nell'altro - sui presupposti dell'azione revocatoria.
9. È poi inammissibile il terzo motivo di ricorso, perché, incentrato su di un vizio motivazionale, non contiene alcun separato e idoneo momento di sintesi o di riepilogo, dotato dei rigorosi requisiti di cui al punto 6.2: risolvendosi l'esposizione complessiva della doglianza in un'inestricabile commistione di riesposizione dei motivi della decisione della gravata sentenza in ordine a disparati (almeno sette) fatti, tutti indicati come decisivi, nonché delle censure via via mosse, senza alcuna evidente sintesi finale. E tanto senza pregiudizio dell'ulteriore questione sulla configurabilità o meno, con tale complessiva doglianza, di una non ammissibile istanza di riconsiderazione delle valutazioni di fatto operate dal giudice del merito, mai consentita nel giudizio di legittimità.
10. Il quarto ed ultimo motivo di ricorso, che si risolve in una sostanziale riproposizione, sotto l'incongruo profilo dell'erronea interpretazione del precetto del comma terzo dell'art. 2901 cod. civ., delle questioni già trattate nel primo motivo, è inammissibile per le stesse ragioni esposte quanto a quest'ultimo.
11. In definitiva, inammissibili tutti i motivi di ricorso, questo va dichiarato inammissibile e la soccombente ricorrente condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in ragione del valore dell'atto oggetto di revocatoria.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna C.V. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, tra loro in solido, liquidandole in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi".
Continuate a seguirci: la disamina sui requisiti indefettibili del ricorso per cassazione continuerà!
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