di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione terza, sentenza n. 11553 del 14 Maggio 2013.L'istituto della comunione è disciplinato agli articoli 1100 e seguenti del codice civile. In particolare, al fine del compimento di atti di ordinaria amministrazione aventi effetti diretti sulla cosa comune la legge impone che ci sia il consenso della maggioranza dei comunisti, maggioranza calcolata sulla base del valore delle quote di ciascuno. La decisione della maggioranza vincola la minoranza dissenziente. L'art. 1105 cod. civ., secondo comma, prevede poi una presunzione semplice di consenso

 

Nel caso di specie la Suprema Corte si esprime su un ricorso promosso dagli aventi diritto avverso la decisione di agire per finita locazione

contro i conduttori della cosa comune; atto questo qualificato come di ordinaria amministrazione e dunque facente capo all'articolo sopra citato. La Cassazione da un lato afferma l'esistenza della presunzione di consenso dei partecipanti rilevando che "il primo comma dell'art. 1105 (…) deve essere inteso (…) nel senso che il concorso si debba intendere anche come possibilità del singolo di compiere atti di tale amministrazione da solo, dovendosi presumere, fino a prova del contrario, che egli compiendoli agisca con il consenso degli altri"; dall'altra tuttavia pone dei limiti a detta presunzione, stabilendo che "la presunzione del consenso degli altri che sussiste ai sensi dell'art. 1105, primo comma, c.c. può essere superata dimostrando l'esistenza del dissenso degli altri comunisti per una quota maggioritaria o eguale della comunione senza che occorra che tale dissenso risulti espresso in una deliberazione a norma dell'art. 1105, secondo comma, c.c.".

Il dissenso dei partecipanti, non espresso in formale assemblea dei comunisti, può essere dunque dimostrato in corso di causa ed è idoneo a contrastare gli effetti dell'azione comune illegittimamente adottata.

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