di Davide Vaccaro - Bisogna premettere che con sentenza 296/2010 la Corte Costituzionale ha sancito che al concorso in magistratura hanno diritto di accedere non solo gli avvocati iscritti al relativo albo, ma anche chi abbia "solo" conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione (tramite il superamento del relativo esame di Stato) ma, per i motivi più disparati, non sia poi iscritto nell'albo degli avvocati.

E' noto inoltre che i laureati che abbiano conseguito il Diploma presso una Scuola di Specializzazione per le professioni legali possano accedere direttamente al concorso in magistratura e che siffatto Diploma "è valutato ai fini del compimento del tirocinio per l'accesso alla professione di avvocato per il periodo di un anno" (art. 41 co. 9 della recente riforma forense).

Il Giudice delle Leggi, nella citata sentenza, compie un'importante riflessione:

"Significativo risulterebbe il raffronto con l'accesso consentito ai diplomati presso le scuole di specializzazione delle professioni legali giacché il diploma da essi conseguito è valutato ai fini del compimento della pratica per l'accesso alla professione forense (e notarile) per il periodo di un anno. Orbene, la circostanza che i diplomati presso le suddette scuole di specializzazione, mentre accedono, per ciò solo, al concorso per magistrato ordinario sono comunque tenuti a compiere un anno di tirocinio per l'ammissione all'esame di avvocato dovrebbe essere intesa nel senso che il superamento dell'esame di abilitazione all'esercizio della professione di avvocato costituisca un quid pluris rispetto al diploma, conseguentemente, sarebbe del tutto irrazionale ammettere costoro al concorso e che lo stesso non sia previsto per coloro che abbiano conseguito l'abilitazione alla professione di avvocato."

Ma se è vero che l'abilitazione alla professione di avvocato è un "quid pluris" rispetto al diploma di specializzazione, è anche vero che quest'ultimo è stimato equivalente ad un anno di pratica forense. La Corte Costituzionale ha più volte affermato che il legislatore è libero di perseguire la politica che più ritiene opportuna, ma una volta scelto un indirizzo egli deve essere coerente e non operare discriminazioni ingiustificate. Ebbene, se la legge prevede che il conseguimento del Diploma di specializzazione sia stimato equivalente ad un anno di tirocinio per l'accesso alla professione forense, non si comprende perché coloro che abbiano completato un anno di tirocinio non possano accedere direttamente al concorso in magistratura.

E' irrazionale e discriminatorio escludere dal concorso tanto le categorie che abbiano un "quid pluris" rispetto ai titoli elencati dalla legge quanto le categorie che la legge, altrove, valuta equivalenti.

Il legislatore, in vero, ha insindacabilmente previsto che per l'accesso al concorso in magistratura siano valutati titoli professionali e culturali molto eterogenei (dal dottorato di ricerca in materie giuridiche all'esercizio di funzioni direttive nelle pubbliche amministrazioni), i quali, dunque, sono stimati come egualmente indicativi di una certa preparazione, teorica eo pratica. Ma laddove la legislazione, in altre sue disposizioni, prevedesse l'equipollenza di uno di quei titoli ad un altro titolo, il quale ultimo però risulta escluso dal novero di quelli spendibili per accedere al concorso, ci troveremmo di fronte a scelte legislative disomogenee, irrazionali e discriminatorie. Ed è proprio questo che oggi accade nell'ammissione al concorso in magistratura, da un lato, dei Diplomati presso le Scuole di Specializzazione e, dall'altro lato, nell'esclusione degli avvocati praticanti che abbiano compiuto un anno di tirocinio, laddove la legge (anche la recente riforma forense) ne prevede invece l'equivalenza.

Se questo è vero, è vero anche che una nuova remissione degli atti alla Corte Costituzionale per valutare quest'ulteriore profilo di illegittimità appare decisamente utopistico. Ciò, infatti, potrebbe accadere solo laddove un praticante avvocato decidesse di partecipare al concorso in magistratura e, una volta che l'avesse vinto, si vedesse destinatario di un provvedimento di esclusione perché carente di uno dei requisiti per l'accesso al concorso. Solo in quella sede, infatti, il provvedimento di esclusione potrebbe essere impugnato innanzi al TAR e la questione di legittimità costituzionale in via incidentale potrebbe essere rilevante e pertanto rimessa alla Corte Costituzionale.

Davide Vaccaro - davide.vaccaro@gmail.com


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