di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione terza, sentenza n. 9152 del 16 Aprile 2013. Processo esecutivo e opposizione all'esecuzione sono due procedimenti tra loro ben distinti e sostanzialmente autonomi: il secondo è un vero e proprio giudizio di merito posto in essere dal resistente al fine di contestare la legittimità e la sussistenza stessa del diritto sulla base del quale si fonda l'esecuzione. Al contrario, per impugnare i singoli atti del processo esecutivo (ritenuti viziati nella forma) il resistente dovrà ricorrere allo strumento dell'opposizione agli atti esecutivi

. Nel caso in cui il processo esecutivo venga incardinato ma, a seguito di opposizione, questa sia accolta e il titolo esecutivo venga a mancare (come, nel caso di specie, a seguito dichiarazione di sua inesistenza) il processo di esecuzione non potrà in alcun caso avere ad oggetto gli atti propri del processo di opposizione all'esecuzione e il creditore procedente potrà essere condannato a rifondere il danno provocato al presunto debitore.

 

L'art. 96, secondo comma, c.p.c. (responsabilità aggravata) contempla proprio la situazione in oggetto: l'ordinamento punisce il comportamento del presunto creditore che, avanzando imprudentemente le proprie pretese e incardinando un procedimento esecutivo ha generato un danno ingiusto in capo al resistente, il quale ha subito un inevitabile dispendio di tempo e di risorse per predisporre la propria difesa.

L'articolo citato prevede la possibilità di condannare la parte soccombente al risarcimento del danno provocato. Tale facoltà è attivata da apposita istanza dell'opponente e il giudice, accertata l'imprudenza o la mala fede dell'opposto, condanna lo stesso, oltrechè alla rifusione delle spese processuali, al risarcimento del danno da responsabilità aggravata.

Vai al testo della sentenza 9152/2013

Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: