La Corte di Cassazione, con sentenza n. 9167 del 16 aprile 2013, ha affermato che "le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso; ne consegue che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l'imprenditore
che abbia provocato un infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni, all'eventuale concorso di colpa del lavoratore; con l'ulteriore conseguenza che l'imprenditore è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità e esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, come pure dell'atipicità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell'evento.". Sulla base di tali principi consolidati in giurisprudenza la Suprema Corte ha accolto il ricorso di un lavoratore che, mentre si accingeva, nel piazzale di una cantina, a lavare le "canaline" di una pressa per la vinificazione, utilizzando uno strumento di gomma a pressione, veniva colpito al viso da un getto di soda caustica, causato dalla rottura del tubo di gomma, riportando gravissime lesioni agli occhi. I giudici di legittimità hanno ricordato che "il datore di lavoro, in caso di violazione delle norme poste a tutela dell'integrità fisica del lavoratore, è interamente responsabile dell'infortunio che ne sia conseguito e non può invocare il concorso di colpa del danneggiato, avendo egli il dovere di proteggere l'incolumità di quest'ultimo nonostante la sua imprudenza o negligenza; ne consegue che, in tutte le ipotesi in cui la condotta del lavoratore dipendente finisca per configurarsi nell'eziologia dell'evento dannoso come una mera modalità dell'iter produttivo del danno, tale condotta, proprio perché "imposta" in ragione della situazione di subordinazione in cui il lavoratore versa, va addebitata al datore di lavoro, il cui comportamento, concretizzantesi invece nella violazione di specifiche norme antinfortunistiche (o di regole di comune prudenza) e nell'ordine di eseguire incombenze lavorative pericolose, funge da unico efficiente fattore causale dell'evento dannoso." E' errata - si legge nella decisione dei giudici di Piazza Cavour - la sentenza dei giudici di merito nella parte in cui ha ritenuto il concorso di colpa dell'infortunato nella determinazione dell'evento. Ed infatti, una volta esclusa l'ipotesi della condotta abnorme, atipica ed eccezionale del lavoratore, tale da interrompere il nesso di causalità, l'infortunio era da addebitare in via esclusiva al datore di lavoro il cui comportamento - concretizzatosi nell'avere adibito il lavoratore ad una operazione pericolosa, con un attrezzo sostanzialmente inidoneo all'uso (tanto che esso non ha retto alla pressione, generando un flusso anomalo di soda che ha colpito il lavoratore agli occhi) e per di più non vigilando adeguatamente sull'esecuzione della prestazione e sull'utilizzo degli occhiali protettivi - doveva essere considerato quale unico fattore causale dell'evento dannoso.

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