La Corte di Cassazione, con sentenza n. 8843 dell'11 aprile 2013, ha affermato la legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato al lavoratore dalla società datrice di lavoro che, dopo la chiusura dell'unità produttiva presso la quale prestava servizio, si era rifiutato di proseguire il rapporto di lavoro in altra sede.

La particolarità della vicenda presa in esame dalla Suprema Corte è data dal fatto che al momento della intimazione del recesso il lavoratore era assente dall'Italia e non aveva avuto notizia della decisione datoriale fino al suo rientro

Tuttavia - precisano i giudici di legittimità - "con una ricostruzione condivisibile la Corte territoriale preso atto dell'assenza del lavoratore e della data di effettiva conoscenza da parte dello stesso del provvedimento espulsivo (momento in cui l'atto recettizio ha potuto produrre i suoi effetti) ha tuttavia valorizzato la circostanza, rimasta incontestata, della mancata adesione del lavoratore alla proposta di prosecuzione del rapporto di lavoro in altra sede." 

La Corte territoriale ha infatti accertato, con indagine di fatto rimasta per tale profilo incontestata, che al ricorrente non è stata negata la possibilità di aderire, seppur tardivamente rispetto ai tempi indicati nella lettera di recesso, alla proposta formulatagli impedendo così, con un comportamento positivo del datore di lavoro l'avverarsi della condizione apposta.

Semplicemente - si legge nella sentenza - "si è accettato che il lavoratore, neppure tardivamente, al suo rientro, ha ritenuto in qualunque modo di manifestare la sua intenzione di dar seguito alla proposta di prosecuzione del rapporto di lavoro in altra sede formulatagli dal datore di lavoro. In tal modo non essendosi realizzato l'evento previsto dalla condizione sospensiva apposta al recesso, il rapporto si è legittimamente risolto.".

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