Su Posta & Risposta n. 371 pubblichiamo una significativa lettera pervenutaci il 26 marzo 2013 h.5:36 dall'account di posta elettronica del nostro lettore Gastone Paccagnella, cui lascio la parola.

Da un po' di tempo continuo a leggere in vari siti che raccolgono gli annunci ed esortano le persone a lavorare presso il loro domicilio ad una trasformazione del classico lavoro piramidale o a catena... con l'aggiunta di inserimento annunci, lettura di banner, inserimento codici ecc. ecc. con l'esortazione, per l'aumento dell'introito che ammonta a pochi euro mensili, alla ricerca di persone che vengono collocate al di sotto delle persone che offrono e quindi una chiara visione del lavoro piramidale.
Poco tempo fa mi è capitato di scambiare un'opinione con un ragazzo iscritto alla facoltà di Scienze Politiche che insisteva nell'affermare che la ditta era seria e che aveva già da tempo vari adepti in Brasile.
Per sua disinformazione sono riuscito a dargli varie notizie che riguardavano la Polizia Federale brasilianache aveva dichiarato già da tempo queste attività di "Truffa" in quanto si andavano a collocare su persone che avevano un particolare stato di necessità e richiedono per poter iniziare il "lavoro" un versamento di una somma minima o massima che darebbe una rendita mensile.
Ma come può essere chiamata una attività lavorativa che ti chiede per poter lavorare di versare del denaro?
Solamente per formulare una società succede questo in quanto per costruire il lavoro devi rischiare di tuo assieme a qualcun altro...
In italia queste attività mascherate stanno proliferando e mi chiedo se la Polizia Postale sia al corrente di tutto questo.
Non è possibile che in uno stato come il Brasile questa attività, offerta dalla medesima ditta, venga dichiarata illegittima mentre in Italia esiste e prolifera tranquillamente.
Diciamo che in Italia esiste una sentenza della Cassazione: La sentenza 37049/2012 - di cui ora sono state depositate le motivazioni - recita: «le attività commerciali in cui il beneficio economico deriva dal reclutamento di utenti, piuttosto che dalla vendita diretta di beni o servizi, sono da ritenersi fuorilegge».
Basterebbe andare a mettere il naso in queste offerte di lavoro a domicilio e si scoprirebbe che il 90% fanno parte di lavori Piramidali e catene varie, poichè lo scopo principale è di far versare una somma e trovare in tempi brevi un certo numero di persone da collocarsi al di sotto che lavorano per te. Questa è la realtà cruda cari lettori e possibile che nessuno abbia il coraggio di denunciare queste cose che sfruttano la povera gente che si trova in situazioni economiche disastrose?
Beh certamente un bell'esempio non l'hanno dato nemmeno i nostri politici, sopratutto certi politici... di cui abbiamo letto le varie notizie sui giornali e dei quali continuiamo a lamentarci ormai da parecchio tempo col risultato che alla fine vengono votati".
Ringrazio sentitamente il nostro caro lettore Gastone e trascrivo qui in calce il testo integrale della pronuncia penale che ha menzionato.

1. - Con sentenza del 9 febbraio 2010, il Tribunale di Tolmezzo ha condannato l'imputato alla pena della sola ammenda, per il reato di cui alla L. 17 agosto 2005, n. 173, artt. 5 e 7 (Disciplina della vendita diretta a domicilio e tutela del consumatore dalle forme di vendita piramidali), per avere, quale titolare di due siti web, promosso e realizzato attività e strutture di vendita nelle quali l'incentivo economico primario dei componenti si fonda sul mero reclutamento di nuovi soggetti piuttosto che sulla loro capacità di vendere o promuovere la vendita di beni o servizi determinati, direttamente o attraverso altri componenti la struttura.
2. - Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, impugnazione qualificata come appello, chiedendone l'annullamento. 2.1. - Si denunciano, in primo luogo, l'erronea valutazione delle prove e la mancata assunzione di prova decisiva relativa alla richiesta di verifica delle modalità di funzionamento del sistema informatico dei siti.
Secondo la prospettazione difensiva, il sistema funzionava nel seguente modo: a) l'utente dichiarava di voler acquistare il bene proposto e veniva inserito, dopo aver pagato Euro 34,00 per l'ordinazione, in una delle quattro liste del prodotto regalo che aveva scelto; b) al momento dell'iscrizione, veniva contestualmente generata un'e-mail con i dati per il pagamento; c) per ogni premio, per consentire a tutti gli scritti di ricevere in regalo, venivano create solo quattro liste, che non funzionavano all'infinito, ma venivano, a un certo punto e con certi meccanismi, chiuse; d) quanto a tali meccanismi, vi era, ogni 7 iscrizioni, un'iscrizione a spese del sito, in modo che a tutti, in un lasso di tempo più o meno breve, era garantito l'ottenimento dell'oggetto desiderato; e) ciò corrispondeva, per il sito Internet, ad un costo del 14% circa su ogni Euro 34,00 incassati; f) l'oggetto o il corrispettivo minimo erano inviati, non solo al primo della lista, ma anche a chi non aveva mai ottenuto alcun oggetto e a chi aveva più bonus; g) ad esempio, in una lista di 14 iscrizioni, affinchè il quindicesimo iscritto potesse ricevere l'oggetto, sarebbero servite 210 iscrizioni, ma non avrebbe conseguito il bene solo un utente, ma anche i 14 che lo precedevano.
2.2. - Si deduce, in secondo luogo, l'erronea applicazione delle norme incriminatrici, sul rilievo che nessuna reclutamento era stato operato dall'imputato, perchè l'iscrizione al sito avveniva per libera scelta e mai all'insaputa degli interessati, con la comunicazione dei dati e la lettura e l'approvazione del regolamento e il rilascio delle dichiarazioni relative ai dati sensibili.
Vi era, in sostanza, un versamento iniziale, a fronte del quale l'utente poteva scegliere la strategia per ottenere prima il bene, spostandosi di lista, ottenendo bonus aggiuntivi, modificando l'oggetto la sua scelta; con la conseguenza che la somma versata, di non rilevante entità, non poteva essere considerata a fondo perduto, perchè la controprestazione non era inesistente.

DIRITTO

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. - L'impugnazione presentata - da qualificarsi come ricorso per cassazione, in quanto proposta contro una sentenza di condanna alla sola ammenda, inappellabile ai sensi dell'art. 593 c.p.p., comma 3 - è inammissibile.
3.1. - I motivi di doglianza possono essere trattati congiuntamente, perchè attengono entrambi alla riconducibilità dell'attività svolta dall'imputato alla categoria delle vendite piramidali e delle cosiddette "catene di Sant'Antonio", di cui alla L. n. 173 del 2005, art. 5.
Tale ultima disposizione (la cui inosservanza è sanzionata dal successivo art. 7) vieta, in particolare: a) la promozione e la realizzazione di attività e di strutture di vendita nelle quali l'incentivo economico primario dei componenti si fonda sul mero reclutamento di nuovi soggetti piuttosto che sulla loro capacità di vendere o promuovere la vendita di beni o servizi determinati, direttamente o attraverso altri componenti la struttura; b) la promozione e l'organizzazione di tutte quelle operazioni, quali giochi, piani di sviluppo, "catene di Sant'Antonio", che configurano la possibilità di guadagno attraverso il puro e semplice reclutamento di altre persone, in cui il diritto reclutare si trasferisce all'infinito previo pagamento di un corrispettivo.
Nel caso in esame, la struttura creata dall'imputato - per come descritta nel ricorso - rientra pienamente nella prima di tali di tali due categorie, perchè i partecipanti al sistema non svolgono alcuna attività di vendita o di promozione della vendita di beni o servizi, ma ricevono un beneficio economico solo dal mero reclutamento di nuovi soggetti; reclutamento in conseguenza del quale vedono aumentare - secondo i meccanismi previsti nel sito web e puntualmente descritti nel ricorso - la loro probabilità di conseguire il premio, che costituisce per loro un corrispettivo meramente eventuale. In altri termini, a fronte del pagamento dell'iniziale somma di denaro, il soggetto che si iscrive al sistema non può ottenere alcuna controprestazione,se non in conseguenza del reclutamento di nuovi soggetti da parte del sistema stesso.
Nè a tali conclusioni può obiettarsi - come fa la difesa dell'imputato - che l'adesione al sistema da parte degli interessati è sempre stata volontaria, perchè la norma incriminatrice non richiede l'involontarietà dell'adesione quale presupposto per la sussistenza del reato. Il reato contestato risulta, dunque - secondo quanto correttamente evidenziato nella sentenza impugnata - pienamente integrato, per la perfetta corrispondenza tra la condotta tenuta e la fattispecie incriminatrice, senza alcuna necessità di ricorrente agli elementi presuntivi di cui alla L. n. 173 del 2005, successivo art. 6, i quale costituiscono un mero ausilio per l'interprete nei casi che - diversamente da quello in esame - si presentano incerti. 3.2. - Quanto, poi, alla prescrizione del reato eventualmente intervenuta dopo la pronuncia della sentenza d'appello, è sufficiente osservare che l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p. (ex multis, sez. 3, 8 ottobre 2009, n. 42839; sez. 1, 4 giugno 2008, n. 24688; sez. un., 22 marzo 2005, n. 4).
4. - Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata in Euro 1000,00.
Presieduta da Ciro PETTI, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione era composta da Silvio Amoresano, Luigi Marini, Luca Ramacci e dall'Estensore Alessandro Maria ANDRONIO. Il Procuratore Generale in persona del Dr. Gabriele Mazzotta aveva concluso per l'inammissibilità del ricorso dell'imputato.

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Civilista e penalista, dedito in particolare
alla materia della responsabilità civile
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