La sentenza n. 5847/2013 della Prima sezione civile della Cassazione ce la dice lunga su quanto siano delicati gli equilibri nei rapporti tra ex-coniugi, e soprattutto sulle modalità di comportamento con i figli. Parlar male, sino a denigrare, la propria ex-moglie è costato molto caro, e non solo in termini economici, ad un uomo. Colpevole di aver provocato Sap (sindrome di alienazione parentale) nei propri figli minori, danneggiando gravemente il rapporto con la propria madre, sino al punto da rifiutarne la presenza e qualsiasi contatto.

La vicenda tra i due inizia con la separazione stabilita da Tribunale di Catania, con sentenza

del 20 giugno 2008, in cui i figli vennero affidati al padre, con visite limitate da parte della madre. A cui spettava però l'obbligo di versare un assegno di mantenimento per i figli. La decisione era stata completamente ribaltata, con sentenza 11 giugno 2010, dalla Corte d'appello di Catania: figli affidati alla madre, così come la casa familiare, e costretto il marito a versare lui stesso un assegno di mantenimento mensile pari a 800 euro. 

Il completo cambio di rotta era dipeso da una valutazione fatta dagli esperti in psichiatria dell'Asl di Siracusa, che avevano appunto rilevano la sindrome da alienazione parentale nei due minori. Sindrome causata dall'atteggiamento del padre nei confronti della madre, così che aveva finito con il provocare gravi squilibri psichici nei bambini. Il padre si era opposto alla decisione giudiziale ed aveva tentato quindi la via della Corte Suprema. Adducendo diverse motivazioni (ben sette, ndr).

Tra le più significative citiamo ad esempio la tentata via della "nullità dell'atto di appello" perché la procura alle liti era stata semplicemente graffettata, motivo rigettato perché infondato, dal momento che l'art. 83, comma 3, del c.p.c. cita "La procura si considera apposta in calce anche se rilasciata su foglio separato che sia però congiunto materialmente all'atto cui si riferisce".

Oppure che per la sentenza non fossero stati sentiti come testimoni i figli, infrangendo così l'art. 188 sexies del c.c., che prevede di raccogliere le testimonianze dei figli se di età pari o maggiore ai dodici anni (o minori se in grado di , e all'epoca dei fatti avevano 9 e 15 anni. Motivo rigettato perché generico, non contiene infatti indicazioni che specifichino in che fase giudiziale avrebbero dovuto essere raccolte. Vani anche i tentativi di annullare la validità come prova d'ufficio delle testimonianze degli psichiatri dell'Asl, perché apparentemente acquisite in maniera non convenzionale dal giudice d'appello. Oppure di puntare sul comportamento volutamente alienante della madre, a danno dell'ex-marito. Rigettato con tanto di prova che la stessa Corte avesse chiesto all'Asl di avviare un piano di mediazione, per cercare di ricostruire il rapporto tra padre e figli. Insomma, dopo tutto ciò, molto meglio cercare di "mangiarsi la lingua" piuttosto che esprimere "l'atipico affetto" provato per l'ex-partner. Almeno in presenza dei propri figli.

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Barbara LG Sordi
Email barbaralgsordi@gmail.it

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