di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione, n.6645 del 15 Marzo 2013
Il nostro ordinamento, all'art. 315bis del codice civile, enuncia il principio secondo il quale il minore, nel corso del giudizio da cui dipende il suo affidamento all'uno o all'altro dei genitori, detiene il diritto di essere ascoltato. Questo diritto si estende a tutte le procedure che riguardano il suo interesse, non limitandosi soltanto alle dirette ripercussioni derivanti dalla rottura dell'unità familiare.
Tale principio incontra tuttavia una limitazione importante: l'audizione del minore è esclusa in tutti quei casi in cui da ciò deriverebbe un'inevitabile turbamento della sua sfera emotiva, con inevitabili ripercussioni sul suo equilibrio psichico.

Nella sentenza in oggetto la Suprema Corte sottolinea come in casi del genere (valutate tutte le circostanze del caso, la situazione familiare, l'età del minore e ogni altro elemento utile alla valutazione di impatto emotivo) è assolutamente ammesso, ed anzi necessario per proteggere l'interesse superiore del suo benessere, evitare di sentire il minore. Nel caso di specie il genitore non affidatario ha proposto appello avverso la decisione del giudice di primo grado di non sentire il minore. Il giudice ha basato il suo diniego proprio sulla circostanza che il minore fosse già decisamente emotivamente provato dalla situazione, e che non sarebbe stato proficuo procedere alla sua audizione: il bambino sarebbe stato negativamente influenzato dalla situazione venutasi a creare in quel particolare frangente.


Legittimo dunque il rigetto del ricorso in sede di appello da parte del giudice di secondo grado, essendo corretta la valutazione giudiziale di escludere una nuova audizione del minore per le motivazioni sopra riportate.

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