Lex & the City - pensieri leggeri politicamente (s)corretti - episodio 22

Ho letto con disappunto che il Garante della Privacy ha bocciato la modifica del comma 35 dell'art.1 del dlgs n.190 del 6 novembre 2012 (legge contro la corruzione nelle PA) ribattezzato Freedom Act (de noiartri), perché non è cosa buona e lecita pubblicare online i redditi (e patrimoni) dei dirigenti della PA. La modifica prevedeva infatti l'obbligo di mettere online o fornire su richiesta i redditi o le spese effettuate dai dirigenti della PA, così da giustificare i soldi pubblici spesi. E mi è venuta in mente la magnifica questione sollevata da Grillo (insieme con tutti noi cittadini) a riguardo del nostro personale redditometro, su cui la privacy apparentemente non vige: "Volete sapere come spendiamo i nostri soldi? Siete voi a doverci dire come spendete i nostri!".

Ora, con questa presa di posizione del Garante la risposta alla domanda difficilmente ci perverrà, se non grazie all'ennesimo scandalo su sprechi e ruberie che sono comunque all'ordine del giorno. Però nel mentre poco potremo sapere su quanto effettivamente guadagnano i nostri amministratori pubblici, che poi con pubblici soldi vengono pagati. In realtà l'importo degli stipendi non è così top-secret (e forse sarebbe meglio per decenza), piuttosto lo sono spesso premi o incentivi; soprattutto quelli frutto di appropriazioni indebite.

Presumo però che anche chi lavora nel pubblico possa indignarsi per gli stipendi dei propri superiori tanto quanto noi comuni cittadini, magari lavoratori nel privato, perché spesso le cifre percepite da questi ultimi sono di dieci volte superiori al proprio di stipendio. Per carità, tanto di cappello a chi si è dedicato ed immolato al bene della res publica, ma quanti onestamente possono fregiarsi di ciò? Molti magistrati indubbiamente, molti medici. Sui politici (e altri dirigenti "collaterali") scusate ho qualche dubbio al momento.

Se realmente noi tutti potessimo essere retribuiti in base alle nostre capacità, altro che trote e vallette avremmo avuto sul groppone, con conti salati ancora da saldare. Questo sì sarebbe la vera rivoluzione democratica. Al momento però ci accontenteremmo di una riduzione del divario salariale, senza che ciò significhi togliere o ridurre a chi ha di più -tanto la Consulta ci ha già pensato una volta a bocciare il tentativo di farlo. E per realizzare tutto ciò perché allora non aumentare un po' gli stipendi di chi sta in basso? Ovviamente non solo per i pubblici, ma anche per i privati. Altrimenti la democrazia dove sarebbe?

In fondo continueremmo ad applicare il principio del New Deal roosveltiano (nonché le teorie economiche di Keynes), di dare nuova linfa all'economia immettendo soldi, invece che togliendoli. E chissà che anche la nostra realtà produttiva non ne possa giovare.

Voi che ne dite?

Barbara LG Sordi
Email barbaralgsordi@gmail.it

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