La Corte di Cassazione, con sentenza n. 3339 del 23 gennaio 2013, ha rigettato il ricorso presentato da un uomo condannato, nei primi due gradi di giudizio alla pena di 4 anni e 800,00 euro di multa per i reati di truffa pluriaggravata e furto. Il ricorrente, chiedendo l'annullamento della sentenza
, deduce l'inosservanza della legge penale in merito alla riconosciuta sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 10 c.p. anche se il sacerdote non era nell'esercizio delle sue funzioni quando conferì il denaro all'imputato e affermando che più consona alla realtà dei fatti sarebbe stato riconoscere l'imputazione di truffa invece di quella di furto posto che il sacerdote aveva in mano il portafoglio, pronto a cedere i soldi. La Suprema Corte, ricordando che secondo il dettato dell'art. 61 n. 10 c.p. "aggrava il reato l'avere commesso il fatto contro un pubblico ufficiale o una persona incaricata di pubblico servizio, o rivestita della qualità di ministro del culto cattolico o di un culto ammesso nello Stato, ovvero contro un agente diplomatico o consolare di uno Stato estero, nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni o del servizio", richiama una lontana ma "sempre valida ed incisiva" decisione della stessa Corte ritenendo la necessità che "la condotta illecita sia diretta contro la la persona del soggetto che riveste la qualità di pubblico ufficiale, incaricato di pubblico servizio
o di ministro del culto, con l'intenzione di vulnerarne il fisico ovvero l'integrità morale e che l'offesa, debba avere una peculiare coloritura, dovendo essere diretta proprio a svilire, anche circuendoli, i valori della funzione professata dalla vittima". Correttamente - proseguono i giudici di legittimità - la corte d'Appello ha motivato la sussistenza dell'aggravante affermando che "le opere di carità rappresentano un 'servizio' tipico del ministero cattolico, basti pensare alla destinazione delle elemosine o delle somme espressamente destinate dagli oblanti ai 'poveri della parrocchia', sicché modeste elargizioni a persone bisognose o indigenti costituiscono, di fatto, una costante dell'attività dei parroci. Proprio per le loro funzioni si deve ritenere che gli imputati si siano ad essi rivolti facendo capo, non a caso, alla parrocchia e, non a caso, a sacerdoti."

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