La prestazione corrisposta dal perito di parte nominato dal curatore fallimentare non costituisce una spesa di giustizia. E' quanto disposto dalla Prima Sezione civile della Corte di Cassazione mediante la sentenza n. 340 del 9/01/2013. La liquidazione dell'onorario del perito rientra quindi nell'istituto del mandato, regolato dall'art.1704 del Codice civile. Da qui l'obbligo di applicare l'art.1709 c.c. ("Presunzione di onerosità"): "Il mandato si presume oneroso. La misura del compenso, se non è stabilita dalle parti, è determinata in base alle tariffe professionali o agli usi; in mancanza è determinata dal giudice".

Nel caso del perito di parte, la retribuzione dell'opera prestata si rifà quindi alle tariffe professionali o agli usi o, in assenza di questi, alla determinazione del giudice. Non è da applicarsi invece la normativa valida per i consulenti tecnici d'ufficio.

La sentenza della Corte muove dal caso di un geometra che aveva quantificato i danni subiti da un'impresa dopo un incendio. Su quel calcolo si era poi basato l'accordo conservativo con il perito assicurativo. La Cassazione, in merito alla procedura concorsuale di fallimento, si è espressa dichiarando l'infondatezza della richiesta di pagamento dell'onorario presentata dal perito di parte all'erario.

La Suprema corte ha chiarito che tale principio di diritto vale anche qualora l'incarico di perito della curatela sia stato conferito dal giudice delegato nell'ambito della procedura fallimentare. Questo perché il soggetto incaricato della perizia contrattuale agisce in base ad un negozio di tipo privatistico e non è da considerarsi un ausiliario del giudice.
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