Se il consulente contabile per una negligenza nella sua attività di consulenza, ha precluso la possibilità di aderire al condono fiscale, è tenuto a risarcire il cliente. E' quanto chiarisce la Corte di Cassazione con sentenza n. 23323/2012 spiegando che, prima di dare inizio all'eventuale contenzioso tributario è sempre necessario valutare la possibilità di intraprendere la strada della definizione agevolata.

Nel caso preso in esame dalla Suprema Corte un consulente del lavoro non aveva dato corso al mandato professionale per impugnare dinanzi una commissione tributaria di secondo grado una decisione adottata in primo grado su alcuni accertamenti relativi ad ILOR e Irpef per gli anni 1982 e 1983. A seguito del giudizio di primo grado dove erano state chiamate in causa anche le compagnie di assicurazioni, veniva respinta la domanda "sui rilievi che il mandato professionale era stato bensì conferito, ma che il danno lamentato dagli esponenti per non aver potuto usufruire del condono tributario ai sensi della legge 413 del 91, promulgata pochi mesi dopo la notificazione delle non impugnate decisioni della commissione tributaria di primo grado, per un verso non era prevedibile ex articolo 1225 del codice civile e per altro verso non poteva ritenersi casualmente derivato dall'inadempimento del professionista".

In realtà  il c.t.u. aveva riconosciuto che la mancata presentazione del ricorso in appello fosse l'unica casa dell'impossibilità per attori di accedere al condono dal momento che la possibilità di usufruire delle disposizioni agevolative per la definizione delle pendenze tributarie è ammessa "sempreché non sia intervenuto accertamento definitivo".
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