La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata, con la sentenza n. 19524 del 2012, in materia di liquidazione equitativa dei compensi per l'opera intellettuale prestata dal professionista a favore della Pubblica Amministrazione.

La Suprema Corte ha preso in esame, nel caso di specie, la vicenda di un professionista incaricato da un Ente Provinciale di redigere un progetto che, successivamente alla redazione e consegna degli elaborati tecnici - consegnati in ritardo e, comunque, non più utilmente realizzabili a causa di intervenute difficoltà tecniche - era stato revocato. In conseguenza della revoca, il professionista aveva citato l'Ente, chiedendo la sua condanna alla corresponsione di un equo compenso per l'opera professionale prestata, oltre al risarcimento del danno per il mancato guadagno.

I professionisti, nel caso concreto, lamentavano la mancata applicazione delle tariffe professionali vigenti nella valutazione e liquidazione del compenso riconosciuto in loro favore, oltre alla liquidazione delle spese sostenute.

La Corte, tuttavia, ha stabilito che la Pubblica Amministrazione che, in veste di committente dell'opera o del progetto da realizzare, ritenga di esercitare il diritto di recedere dal contratto, non è affatto tenuta a corrispondere al professionista inizialmente incaricato un indennizzo corrispondennte al mancato guadagno, bensì è obbligata a riconoscere alla controparte soltanto il corrispettivo per il lavoro effettivamente svolto fino al momento della cessazione anticipata del contratto. Nel caso di specie, i ricorrenti lamentavano una carenza di motivazione laddove la Corte d'Appello, nel riconoscere e liquidare i compensi dovuti dall'Ente, aveva fatto ricorso a criteri puramente equitativi, totalmente slegati dai parametri offerti dai tariffari professionali vigenti.

La Suprema Corte ha ritenuto, inoltre, che, avendo gli stessi ricorrenti protagonisti della vicenda richiesto, in sede di appello, l'applicazione delle regole di equità nella liquidazione del compenso (e, solo in subordine, un'indennizzo per indebito arricchimento), lo stesso, ove riconosciuto come nel caso di specie, non avrebbe potuto che essere liquidato con tali criteri in relazione alle opere effettivamente eseguite.

La Suprema Corte ha basato il proprio convincimento proprio sul richiamo alla norma di cui all'art. 2237 codice civile - che regola il caso di recesso dal contratto - il quale non prevede il riconoscimento di alcuna indennita', ancorchè sia già iniziata l'esecuzione dell'opera commissionata, ad eccezione del rimborso delle spese già sostenute dal prestatore d'opera e del corrispettivo per il lavoro effettivamente già eseguito, piuttosto che a quella di cui all'art. 2227 codice civile che, invece, in tema di recesso unilaterale, riconosce anche il diritto ad ottenere un risarcimento in considerazione del mancato guadagno.
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