Il lavoratore può svolgere attività fisica anche nel periodo di malattia, a patto che la capacita dello stesso di svolgere il proprio lavoro non sia messa a repentaglio. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza 21938 del 6 dicembre 2012, trattando il caso di un lavoratore licenziato perché nel periodo di assenza dal lavoro a causa di malattia aveva svolto attività edili per la sua proprietà e i terreni circostanti.

La richiesta del lavoratore era stata respinta dal Tribunale di primo grado, mentre la Corte d'Appello aveva annullato il licenziamento e predisposto il reintegro a lavoro, e per questa ragione l'azienda si era rivolta in Cassazione.

"La valutazione dell'attività fisica svolta dal lavoratore durante la malattia, non può essere valutata "ex ante", in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte dal medesimo, al fine di accertare se la stessa possa pregiudicare o ritardare la guarigione", è quanto dichiarato dai giudici Piazza Cavour nella sentenza.

Secondo la Cassazione, nel caso in questione "non v'era nessuna prova che l'attività svolta dal lavoratore durante la malattia, avesse messo in pericolo il suo equilibrio psico fisico e, conseguentemente la sua capacità di adempiere alla prestazione lavorativa", considerando il pronto rientro del dipendente sul posto di lavoro allo scadere del periodo di malattia.

Nessuna mala fede e violazione dei doveri di correttezza, quindi, secondo quanto presunto dall'azienda, che si è vista rifiutare anche "l'applicazione dello ius superveniens rappresentato dalla legge n. 92/2012 ed in particolare la sua disposizione modificativa della disciplina delle conseguenze dell'accertata illegittimità del licenziamento, in quanto tale norma non è applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame che è stata decisa nel vigore della precedente formulazione dell'articolo 18 della legge n. 300/70".


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