Spesso la dottrina e più segnatamente la giurisprudenza si sono ritrovate a dirimere conflitti sorti tra diritti ed interessi pubblici e privati di eguale importanza, degni di pari tutela da parte dell'ordinamento. In un caso recente la Corte di Cassazione Civile, con la Sentenza 18211 del 2012, è stata chiamata a pronunciarsi circa il conflitto sorto tra l'interesse del datore di lavoro ad ottenere la prestazione, a determinate condizioni, da parte del lavoratore subordinato ed il diritto alla salute di cui ogni persona è titolare (il  diritto alla salute è sancito a livello costituzionale all'art. 32). Nel caso di specie i soggetti contrapposti sono da una parte un'azienda operante nel settore dei servizi di sorveglianza privata e dall'altra un dipendente dell'azienda assunto con la mansione di portiere notturno.

Quest'ultimo soggetto, in pendenza di rapporto di subordinazione e proprio a causa dei logoranti ritmi di lavoro sostenuti, ha finito con lo sviluppare una sindrome ansioso depressiva. In corso di giudizio è sorto ed accertato il nesso causale tra la patologia clinicamente riscontrata e le modalità di lavoro attraverso le quali il dipendente prestava la propria opera, sottoposto com'era a condizioni fisiche e psicologiche decisamente insostenibili.

La Corte di Cassazione, per giungere alla propria decisione, al fine di bilanciare gli interessi sopra esposti ha ritenuto congruo applicare al caso concreto il principio di ragionevolezza, criterio elaborato dalla Corte Costituzionale partendo da una elaborazione del principio di eguaglianza sostanziale. Il principio di ragionevolezza statuisce che le previsioni normative presenti in atti aventi forza legislativa devono essere adeguate e congruenti rispetto alle finalità perseguite dal legislatore.

Nel caso si verifichi una contraddizione interna ad una disposizione legislativa, o ancora una discrepanza tra una norma giuridica e l'interesse pubblico perseguito, il Giudice adito ha l'obbligo di far emergere tale contrasto, disapplicare la norma viziata e rimettere poi, se del caso, la questione alla stessa Corte Costituzionale. Una Legge irragionevole risulta infatti viziata da eccesso di potere e può essere conseguentemente oggetto di pronuncia di incostituzionalità. Il principio di ragionevolezza è stato elaborato con il fine ultimo di impedire che si faccia un uso arbitrario della Legge e dunque un utilizzo delle norme che si riveli alla lunga svincolato dall'interesse comune. Per questo motivo il principio di ragionevolezza rappresenta un criterio fondamentale alla base dell'intero ordinamento italiano. Tornando al caso in oggetto, la Corte di Cassazione ha eseguito una verifica di ragionevolezza sulle norme interessate, effettuando un'indagine sui presupposti di fatto ed una valutazione di congruenza tra mezzi impiegati e fini perseguiti.

La stessa è poi giunta alla conclusione che la tutela della salute costituisce limite inderogabile per il sano sviluppo della persona, classificando il caso concreto come fonte e causa di stress da superlavoro. La Corte si è spinta poi oltre statuendo che lo stress da superlavoro va risarcito anche nel caso in cui il lavoratore subordinato non lo richieda espressamente, costituendo tale violazione legittima causa di risarcimento del danno biologico. Essa ha poi chiaramente stabilito la differenza tra riposo effettivo e pause di inattività, concetti sostanzialmente differenti ma che in questa fattispecie erano stati usati dal soggetto resistente (datore di lavoro) in modo improprio, conciliando appunto le esigenze di produzione aziendale con l'inderogabile diritto alla salute.


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