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Ecco il testo dell'approfondimento

Il diritto al nome: tra diritto pubblico e diritto privato con particolare riferimento alla sua evoluzione in diritto all'identità personale. Relativi strumenti di tutela.
 
di Serafino Ruscica
  
Schema preliminare di svolgimento della traccia
- Cenni sull'origine del diritto al nome.
- Il rapporto tra il diritto al nome ed il diritto all'identità personale.
- L'evoluzione del diritto al nome da strumento di identificazione della persona a componente dell'identità personale.
 
 
Dottrina
F. Caringella-L. Buffoni, Manuale di diritto civile, Dike Giuridica, 2011.
M. Alcuri, L'attribuzione del cognome materno al figlio legittimo al vaglio delle sez. un. della s.c.: gli orientamenti della giurisprudenza interna e comunitaria  in Dir. famiglia 2009, 3, 1075. 
O. Feraci, La legge applicabile alla tutela dei diritti della personalità

nella prospettiva comunitaria in Riv. dir. internaz. 2009, 4, 1020.
 
 
Giurisprudenza
 
App. Milano, 9 marzo 2011
Anche quando il cognome maritale appaia "famoso" perché ha consentito e consente la frequentazione di ambienti mondani di alto livello o di rango sociale o di censo molto elevati, ciò non basta alla donna divorziata per poterlo conservare.
 
T.A.R. Venezia-Veneto, Sez. I, 21 febbraio 2011
Se è certamente vero che il nome di ciascun soggetto dell'ordinamento è destinato ad assolvere la funzione della sua identificazione e il diritto al nome costituisce un rilevante diritto assoluto della persona la cui tutela risulta garantita sia dal codice civile
che dalla carta costituzionale, e dunque non è consentito domandare reiteratamente la modifica del cognome per poi, acclaratene le sfavorevoli conseguenze, chiedere una nuova modifica, atteso il rilevante effetto sugli atti di stato civile che la modifica del cognome comporta, tuttavia il diniego opposto deve contenere una congrua motivazione, non potendosi limitare l'amministrazione a opporre una ragione di ordine meramente quantitativo, senza effettuare la correlata, indispensabile, comparazione dell'interesse vantato dal ricorrente, assurto tuttavia a interesse generale, con quello pubblico alla certezza degli atti e dei rapporti giuridici (nella specie, il ricorrente aveva già chiesto e ottenuto di modificare il proprio cognome in quanto ritenuto possibile fonte di scherno nel contesto territoriale di appartenenza, laddove invece i propri figli avevano mantenuto il cognome originario, sicché la successiva richiesta sarebbe stata giustificata dalla necessità di ricostituire quell'unità familiare, certamente consistente anche nell'interesse personale diretto del ricorrente di essere chiamato come i propri discendenti nonché quello degli stessi di essere denominati con lo stesso cognome del padre, discendenti i quali hanno spiegato intervento adesivo al ricorso in esame).
 
Trib. Varese, 23 luglio 2010
Il diritto al nome, è un diritto soggettivo incomprimibile della persona, la quale, non può sceglierlo al momento della nascita, sono i suoi rappresentanti legali, in genere genitori, a provvedervi. Detta scelta deve essere esercitata nell'interesse del figlio, costituendo il nome il simbolo dell'identità personale, che deve corrispondere al sesso. È inoltre vietata l'assegnazione di nomi ridicoli o vergognosi. Quanto al nome Andrea, avente in Italia valenza maschile, l'attribuzione ad una persona di sesso femminile, implica la segnalazione da parte dell'ufficiale di stato civile al Procuratore della Repubblica, il quale potrà instaurare un giudizio di rettificazione a seguito del quale decidere di anteporre ad Andrea un onomastico femminile. Nessun problema di tale genere si solleva qualora il destinatario del nome acquisti la nazionalità dl paese di provenienza. In tal caso si applicherà la legge nazionale del soggetto.
 
Cass. Civ., Sez. I, 11 agosto 2009, n. 18218

La tutela civilistica del nome e dell'immagine, ai sensi degli art. 6, 7 e 10 c.c., è invocabile non solo dalle persone fisiche ma anche da quelle giuridiche e dai soggetti diversi dalle persone fisiche e, nel caso di indebita utilizzazione della denominazione e dell'immagine di un bene, la suddetta tutela spetta sia all'utilizzatore del bene in forza di un contratto di leasing, sia al titolare del diritto di sfruttamento economico dello stesso. (Principio affermato dalla S.C. in una fattispecie in cui una società, senza ottenere il consenso dell'avente diritto e senza pagare il corrispettivo dovuto, aveva indebitamente riprodotto nel proprio calendario l'immagine e la denominazione di un'imbarcazione altrui, usata a fini agonistici o come elemento di richiamo nell'ambito di campagne pubblicitarie o di sponsorizzazione, inserendo nella vela il proprio marchio).
 
Cons. St., Sez. IV, 5 febbraio 2009, n. 668
Il cognome, oltre a costituire segno identificativo della discendenza familiare, con le tutele conseguenti a tale funzione, svolge anche la funzione di strumento identificativo della persona, che è situazione che ricorre nei cd. casi di cognomizzazione del predicato nobiliare, cioè quando una specifica denominazione (di varia origine: geografica, fisica, storica, caratteriale, ecc.) acquista la particolare forza individualizzante di uno specifico casato o di una stirpe, dalla cui appartenenza un soggetto intende ricavare o far derivare un diritto soggettivo al nome, al quale l'ordinamento assicura una distinta tutela, che si realizza con il procedimento, innanzi al giudice ordinario, previsto dall'art. 7 c.c., che non riguarda solo la facoltà di interdire fatti di usurpazione o spossessamento o abuso di titolo, ma anche atti di rivendicazione, in senso proprio, di cognomi connessi a titoli o denominazioni di casato.
 
Cass. Civ., Sez. I, 24 settembre 2008, n.23934
In relazione agli articoli 237, 262 e 299 c.c. e 33 e 34 d.p.r. n. 396/2000, sulla presupposta automatica attribuzione al figlio legittimo del cognome paterno, appare opportuno trasmettere gli atti al Primo Presidente, ai fini della eventuale rimessione alle Sezioni Unite per valutare se, ai fini della presente controversia ed alla luce della mutata situazione della giurisprudenza costituzionale e del probabile mutamento delle norme comunitarie, possa essere adottata un'interpretazione della norma di sistema costituzionalmente orientata ovvero, se tale soluzione sia ritenuta esorbitante dai limiti dell'attività interpretativa, la questione possa essere rimessa nuovamente alla Corte Costituzionale.
 
 
Legislazione Correlata
Art. 2 Cost., art. 7, 8, 9 c.c.
 
 
SVOLGIMENTO
 
Una delle più elementari esigenze che emerge quando gli individui si riuniscono in collettività organizzate, va individuata nella necessità di rintracciare strumenti idonei alla identificazione del singolo nella comunità. Già negli ordinamenti più elementari è sentita l'esigenza di approntare strumenti di tutela dei segni identificativi degli appartenenti alla comunità. Questa elementare esigenza sociale viene recepita ovviamente negli ordinamenti statali moderni che approntano strumenti di tutela del nome delle persone fisiche e di altri segni distintivi per le persone giuridiche. Come era naturale quindi, la tutela del nome emerge nei moderni ordinamenti come connaturata alla esigenza pubblicistica della corretta individuazione dei soggetti. Tuttavia gli ordinamenti più evoluti e quindi più sensibili ai valori della persona umana, hanno con il tempo individuato dei profili più prettamente privatistici nella tutela del nome così da giustificarne un riconoscimento positivo nel codice del 1942. È quindi plausibile tentare di individuare nella tutela del nome sia profili pubblicistici che privatistici, ipotizzando un'evoluzione degli ultimi che si è tradotta nel riconoscimento del diritto al nome prima come diritto della persona e da ultimo come componente  del diritto all'identità personale. Tuttavia l'evoluzione del diritto al nome è stata resa possibile non tanto da interventi legislativi, quanto dall'intervento della Corte Costituzionale che sempre più di frequente negli ultimi anni, mediante il ricorso a sentenze additive, ha consentito alle norme codicistiche di recepire istanze evolutive, non ancora emerse all'epoca di emanazione del codice civile del 1942. Un ruolo fondamentale è stato svolto dalla interpretazione dell'art. 2 della Costituzione come norma-cardine, posta a fondamento di diritti della persona intesa in un'accezione ampia che ricomprenda altresì anche soggetti diversi dalle persone fisiche.

Istanze di identificazione emergono come noto anche in relazione alle persone giuridiche, come si desume dalla tutela riconosciuta dal legislatore con la legislazione dei marchi e brevetti e da un orientamento dottrinale sempre più favorevole al riconoscimento di una tutela delle persone giuridiche modellata, nei limiti della compatibilità, sulla tutela riconosciuta nel nostro ordinamento alla persona fisica.
L'emersione di una valenza pubblicistica nella tutela del nome emerge dalle disposizioni contenute in alcune leggi che hanno provveduto all'attuazione di convenzioni internazionali per la disciplina dei registri dello Stato civile (si pensi alla l. n. 508/80 che ha ratificato la Convenzione di Berna del 1973 relativa alla indicazione di nomi e cognomi nei registri dello Stato civile). Ma l'intera disciplina contenuta nel r.d. del 1939 relativa agli atti dello Stato civile, in realtà consente di rintracciare profili pubblicistici del diritto al nome, nella previsione di intervento del p.m., o nel riferimento a forme di apparizione, pubblicità o "all'interesse pubblico" cui fa esplicita menzione l'art. 165 del r.d. in relazione al procedimento di cambiamento o rettifica del nome. L'importanza della iscrizione dello stato civile ai fini della corretta identificazione degli individui mediante il nome, che ai sensi dell'art. 16 comma 2 c.c. si compone di prenome e cognome, emerge anche dalla previsione del Codice penale dell'aggravante di cui all'art. 483 comma 2, quando il reato di falso abbia ad oggetto atti dello stato civile, ed altresì dalla previsione di disposizioni sanzionatorie in capo agli ufficiali dello stato civile, sebbene tali disposizioni siano  state depenalizzate dalla l. n. 689 del 1981. L'aspetto tuttavia maggiormente interessante riguarda la tutela del nome, non più nell'interesse pubblico dello Stato alla corretta identificazione degli individui, ma come oggetto di una situazione giuridica di diritto privato. In proposito già nella Costituzione (art. 22), ma si veda anche la Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo, emerge la previsione del diritto al nome nell'ottica dell'attribuzione strettamente  personalistica. In tal caso la tutela predisposta dall'ordinamento si adegua alla tendenziale disponibilità del bene giuridico, rivelata dalla incidenza del consenso dell'avente diritto relativo ad atti in qualche misura dispositivi  del diritto al nome (si pensi al riferimento al consenso previsto dal comma terzo dell'art. 21 della legge sui marchi e brevetti secondo cui "I diritti di marchio d'impresa registrato non permettono al titolare di vietare ai terzi l'uso nell'attività economica, purché l'uso sia conforme ai principi della correttezza professionale: a) del loro nome e indirizzo; b) di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all'epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio; c) del marchio d'impresa se esso è necessario per indicare la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio.

La stessa tutela codicistica del diritto al nome compendiandosi nel ricorso all'azione di reclamo ed in quella di usurpazione previste dall'art. 7 c.c. è subordinata all'interesse ad agire del ricorrente. In alcuni casi la valenza identificatoria del nome si estende travalicando gli interessi del suo titolare individuale altresì all'intero nucleo familiare, che può infatti agire a tutela di ragioni familiari degne di essere protette secondo quanto previsto dall'art. 8 c.c. In questa fase evolutiva le forme di tutela previste sono ancora ristrette alla tutela risarcitoria (si veda l'art. 7 ed 8 c.c.) ed a quella reintegratoria (art. 7 comma 2 c.c.). Riguardo alla tutela risarcitoria, il fatto lesivo del diritto al nome rileva nei limiti in cui si traduca, secondo la tradizionale ottica patrimonialistica, in un danno economico in capo al titolare, in base ad una interpretazione del concetto di ingiustizia del danno (art. 2043 c.c.) che è stata per lungo tempo ancorata al pregiudizio economico. Mentre eventuali profili non patrimoniali rileverebbero solo nei limiti dell'art. 2059 c.c., individuati secondo l'interpretazione tradizionale in quelli dell'art. 185 comma 2 c.p. Tuttavia una recente interpretazione evolutiva ha cercato di ampliare i profili risarcitori del diritto al nome, già prima della storica svolta giurisprudenziale inaugurata dalle Sezioni Unite nel maggio 2003, interpretando il rinvio alla legge operato dall'art. 2059 c.c. come riferito alla legge civile (gli artt. 7 e 8 del codice). In questa fase quindi la tutela risarcitoria resta ancorata ai profili economici che si atteggiano a danno-conseguenza dell'evento lesivo (come si desume dal riferimento al "pregiudizio dell'uso", cui allude l'art. 7 c.c.). Solo in una fase successiva è possibile scorgere il passaggio del diritto al nome da diritto della persona (intesa ormai come titolare di situazioni giuridiche non necessariamente a contenuto patrimoniale) a "battistrada" di quella categoria di creazione giurisprudenziale, nota come diritti della personalità. Più precisamente emerge nella giurisprudenza che accoglie gli orientamenti di acuta dottrina, la tendenza a riconoscere nel nome un profilo di quel diritto all'identità personale che, a partire dal 1985, la Cassazione comincia a riconoscere (anche se a dire il vero, il leading-case in tema di diritto all'identità personale risale ad una sentenza del Tribunale civile di Roma del 1983). L'interpretazione delle norme codicistiche alla luce dei principi costituzionali conduce alla teorizzazione di un diritto all'identità personale come l'insieme di referenti, ideali consistenti nelle convinzioni politiche, religiose, socio-ideologiche, o materiali (il nome, il sesso) che contribuiscono a "proiettare" all'esterno la soggettività individuale. La creazione giurisprudenziale di questa categoria di diritti comporta innanzitutto l'ampliamento degli strumenti di tutela, annettendosi il  ricorso alla tutela inibitoria (art. 700 c.p.co) avverso atti o pubblicazioni (in tal caso incontrandosi i limiti dell'art. 21 comma 3 Cost. sul sequestro degli stampati) che distorcendo la verità contribuiscono a riflettere una "immagine" del soggetto non corrispondente al patrimonio ideale o materiale con cui egli dovrebbe essere identificato. L'evoluzione si riflette ovviamente anche sulla tutela risarcitoria. L'attrazione del diritto al nome nella sfera dei diritti della personalità attraverso l'identificazione di questo con un aspetto dell'identità personale, comporta l'estensione del risarcimento del danno a prescindere da un pregiudizio economico, al di là dei limiti previsti dall'art. 2059 c.c. Di fatto si riconducono i fatti lesivi del diritto al nome, nell'alveo dell'ingiustizia del danno di cui all'art. 2043 c.c., come fatto lesivo di un diritto costituzionalmente garantito (richiamandosi all'epoca la sentenza n. 184 del 1986 della Corte Costituzionale, dove si è riconosciuto il diritto al risarcimento del danno in ogni caso di lesione di diritto garantito in Costituzione). Si è quindi ricondotta la lesione al diritto all'identità personale, nell'ambito del danno-evento, la cui prova si risolve nella prova del fatto lesivo.

Ai fini della nostra indagine è necessario menzionare il contributo della Corte Costituzionale che nel 1994 dichiarava l'illegittimità dell'art. 6 c.c. riconoscendo nel nome "un autonomo segno distintivo della sua identità personale", cui faceva seguito un altro significativo intervento nel 1996 (23 luglio, n. 297), con cui si dichiarava parimenti illegittimo l'art. 262 c.c. relativo al cognome del figlio riconosciuto. A questa presa di posizione della Corte Costituzionale si è, nel corso degli anni '90, adeguata la giurisprudenza della Corte di Cassazione che ormai ritiene meritevole l'interesse alla conservazione del nome come segno distintivo della personalità al pari dell'interesse pubblicistico alla correttezza delle iscrizioni dello stato civile. Recentemente la Cassazione si è pronunciata sulla questione in relazione alla controversia avente ad oggetto l'uso del cognome nobiliare rivendicato da una donna nei confronti dell'ex coniuge dopo l'intervenuta sentenza di divorzio in base alla considerazione che quel cognome assunto con le nozze era divenuto, data la rilevanza pubblica del personaggio (nella fattispecie una scrittrice), elemento di identificazione della stessa, con il rischio che l'uso del nome da parte di terzi (la nuova consorte del titolare del predicato nobiliare) avesse finito con il porre problemi di identificazione della ricorrente nel proprio contesto sociale di riferimento. Si tratta ovviamente di questioni connesse all'applicazione dell'art. 5 comma 2 e 3, della legge sul divorzio che prevede la possibilità, per la donna che ne faccia richiesta, di conservare il cognome del marito quando sussista un suo interesse meritevole di tutela come previsto dalla l. n. 711/87, nel cui testo  già si manifesta una maggiore sensibilità del legislatore in relazione al diritto al nome come espressione dell'identità personale. Laddove il legislatore non ha manifestato la stessa sensibilità, ha provveduto la Corte Costituzionale. Il problema del bilanciamento degli interessi tra l'esigenza della corretta individuazione (che imporrebbe la soluzione tradizionale della modifica del nome) ed il diritto all'identità personale (che impone invece il mantenimento del nome che ormai di fatto contribuisce all'identificazione delle persone sebbene queste abbiano perso il legittimo diritto all'uso del nome) è operata dal legislatore con la l. n. 164/1982 relativa alla disciplina della rettificazione di attribuzione di sesso. Infatti in caso di trattamento medico-chirurgico che consenta il cambiamento del sesso necessario a consentire di vivere pienamente la propria identità sessuale (manifestazione anch'esso del diritto all'identità personale), l'art. 7 della succitata legge prevede che si proceda alla rettifica ai sensi dell'art. 454 c.c. degli atti dello stato civile. Tuttavia l'art. 5 legge ultima citata prevede che le attestazioni di stato civile siano rilasciate con l'indicazione del nuovo sesso e nome, omettendosi l'indicazione del precedente sesso e nome, come invece imporrebbe l'interesse pubblico alla corretta individuazione delle persone. Si tratta di una soluzione che può spiegarsi solo con la prevalenza data all'interesse del soggetto a non essere più individuato con quel sesso e nome nei quali in realtà non si è mai intimamente identificato. Emerge, quindi, la prevalenza accordata al nome come espressione dell'identità personale rispetto all'interesse pubblico alla corretta individuazione della persona.


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