La Corte di Cassazione, con sentenza n. 40070 del 10 ottobre 2012, ha affermato che in caso di violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro, la sanzione pecuniaria che può essere comminata all'azienda non può, in ogni caso, superare le 250 quote, ai sensi dell'articolo 25-septies del D.Lgs n. 231/2001.

Nello specifico la Suprema Corte ha accolto il ricorso proposto dal legale rappresentante di una società avverso la sentenza che aveva affermato la sussistenza del reato di lesioni personali colpose gravi aggravate - art. 590, commi 2 e 3 c.p.-, perché, nella qualità di datore di lavoro, quale presidente del consiglio di amministrazione della società, per colpa generica, segnatamente negligenza, e colpa specifica, per violazione del combinato disposto degli articoli 70, 71 e 87 del D.lgs. 9 aprile 2008 n. 81, provocava, per inadeguatezza della macchina utensile, un incidente sul lavoro a seguito del quale una lavoratrice riportava la amputazione della falange distale del terzo dito della mano sinistra.

L'art. 25 septies del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, di cui al capo di imputazione - spiegano i giudici di legittimità - precisa che "in relazione al delitto di cui all'art. 590, terzo comma, del codice penale

, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non superiore a 250 quote".

Poiché nella fattispecie - si legge nella sentenza

-  si procedeva proprio in relazione al delitto di cui all'art. 590, terze comma codice penale, non poteva applicarsi come pena base per il calcolo della pena finale, la sanzione pecuniaria in misura di 300 quote, poiché la pena edittale massima prevista per questi casi non può essere superiore a 250 quote.

La pena concordata pertanto non è legale - concludono gli Ermellini - e quindi deve essere pronunziato annullamento della sentenza impugnata senza rinvio limitatamente alla misura della sanzione amministrativa pecuniaria.
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