Questi sono giorni in cui da più parti, soprattutto da quella di noi cittadini, c'è pressione affinché venga trovato un accordo sulla legge anti-corruzione. E per ribadire quanto sia importante che le cose in Italia cambino giunge con tempismo perfetto un esempio, legalizzato e quindi lecito, di quel che troppo spesso (tristemente) connota la nostra classe amministrativa: la raccomandazione.

In politica abbiamo potuto provare le conseguenze nefaste di questo uso e costume sulla nostra pelle, e purtroppo, temo, continueremo a farlo ancora per un bel po'. Anche la Cassazione ha infatti ribadito che è lecita una "spintarella" professionale se questa investe ambito diverso da quello in cui si svolge la propria mansione. Tutto è iniziato quando un ex sindaco di Pescara era stato accusato del reato di concussione per aver fatto una raccomandazione. Aveva infatti chiesto al direttore generale dell'Asl di Chieti di trasferire una Dottoressa da quel di Pescara a Chieti. La raccomandata aveva ringraziato il sindaco donandogli un computer. La vicenda era finita in mano al pm di Pescara, che aveva accusato il sindaco di concussione. Accusa da cui però il gup di Pescara lo aveva prosciolto dichiarando il "non luogo a procedere". Il pm, risoluto nel voler procedere contro l'imputato, si poi rivolto alla Corte di Cassazione sostenendo che il gup avrebbe dovuto disporre il rinvio a giudizio di D'Alfonso per il reato di corruzione.

La Sesta sezione penale, con sentenza

38762, ha però respinto il ricorso del pm perché "la raccomandazione e' condotta che esula dalla nozione di atto d'ufficio". Per gli ermellini è infatti "condotta commessa in occasione dell'ufficio e non concreta l'uso di poteri funzionali connessi alla qualifica soggettiva dell'agente". Quindi qualsiasi pubblico amministratore che raccomanda chicchessia, al di fuori dei propri poteri istituzionali, non commetterebbe nulla di illecito. Per la nostra legge infatti se la raccomandazione e' commessa dall'esterno, non può essere perseguita. E la regalia nel caso di specie non rappresenta una prova di corruzione.

Concetti ribaditi ancor più con la precisazione che "il delitto di corruzione

, rientrando nella categoria dei reati propri funzionali, richiede che l'atto o il comportamento oggetto del mercimonio rientri nella competenza o nella sfera d'influenza dell'ufficio al quale appartiene l'ipotetico soggetto corrotto, nel senso che occorre che sia espressione, diretta o indiretta, della pubblica funzione esercitata dal medesimo, requisito non ravvisabile nell'intervento del pubblico ufficiale che non implichi l'esercizio di poteri istituzionali propri del suo ufficio e non sia in qualche maniera a questi ricollegabile, ma sia diretto ad incidere nella sfera di attribuzione di un pubblico ufficiale terzo, rispetto al quale il soggetto agente e' assolutamente carente di potere funzionale".

Insomma se la raccomandazione fosse avvenuta all'interno del municipio allora il reato ci sarebbe stato, ma siccome l'intervento del sindaco è avvenuto presso un'altra amministrazione il gesto ha avuto il bene placet delle istituzioni.

Ma allora dovremmo chiederci: se la raccomandazione non fosse arrivata dal primo cittadino il dirigente Asl gli avrebbe dato tanto peso? Forse questa è la stessa domanda che ha spinto il pm a lottare tanto perché si riconoscessero gli estremi di un reato in quella condotta.

E forse è proprio per evitare assoluzioni di questo tipo che il dibattito sulla legge anti-corruzione è rovente da mesi.
Barbara LG Sordi
Email barbaralgsordi@gmail.it

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