PENSIERI DIETRO GLI OCCHIALI DA SOLE (pensieri semiseri sotto il solleone)

Certo che più si leggono i giornali o guarda la televisione e più viene il mal di testa, solo nel cercare di capire cosa realmente stia accadendo al nostro paese, ed al resto d'Europa naturalmente. Più si legge e meno si capisce, più si legge e più ci si rende conto solo di una cosa: chi sta sopra di noi parla in una lingua incomprensibile ai più, se non ai giornalisti che ne riportano i discorsi. In questo gran caos mediatico però una cosa è certa: la crisi esiste. Inutile cercare di far finta di nulla, di illuderci che tutto tornerà come prima, e meglio di prima, nel giro di breve, solo perché l'aspirante premier di turno spera di accaparrarsi voti. Eh, no. Vacanze a parte (per quell'italiano su 6 che se le è potute permettere) mettiamoci nell'ottica di dover soffrire ancora per parecchio. Beh, sino al 2013 sicuramente, dal momento che Monti ha dichiarato che non abbandonerà l'Italia al suo destino -di default- prima di allora; gesto nobile che ci assicura forse un continuum nell'austerity, se non altro una certezza l'abbiamo ancora, anche noi.

Ma grazie alle vacanze ed al clima sereno e propositivo che da sempre le accompagna sogniamo un modo per poter uscire dalla crisi. Un modo che avvantaggi anche le classi medie, non vedendole solo come un portafoglio gigante (ma non inesauribile) da cui pescare soldi. In fondo sono proprio i ceti medi che da sempre sono la forza trainante dell'economia, coloro che la creano e la fanno girare. Quindi in virtù di questi meriti, non da poco, sarebbe il momento di metterli su un piedistallo, non in galera. Basterebbe, così banalmente, colpire le classi meno utili economicamente, come la burocrazia, oppure quelle così ricche da non dover neppure cambiare drasticamente le proprie abitudini. Vabbè se mai tornerà Robin Hood ne riparleremo.

E pensare che quasi novant'anni fa un uomo, considerato un outsider dai suoi avversari, riuscì a risollevare un paese molto più a terra di tutta l'Europa messa insieme, Franklin Delano Roosvelt. Dopo anni di ebbrezza economica post-bellica, gli Stati Uniti subirono un crack finanziario nel 1929, che costò moltissimo in termini di denaro e di vite (inutile citarvi i numerosissimi suicidi del tragico "giovedì nero" di Wall Street, giusto?). Un Big Crash causato da mala amministrazione e visioni liberiste troppo naïf, con il risultato di dare strapotere a banche e multinazionali ante-temporem. Ecco, a molti già suoneranno parecchie similitudini. Esatto. Solo che noi attendiamo ancora il nostro Roosvelt e la sua politica di New Deal, non di sola e semplice austerity, bensì che sia di ampio respiro per il rilancio dell'economia. Fatta di reali azioni per migliorare l'economia, non solo per batter cassa e colmare debiti con soldi di chi si dovrà a sua volta indebitare.
Roosvelt riuscì nell'impresa con l'aumento delle tasse per le fasce più ricche, l'impiego di manodopera disoccupata per creare grandi opere pubbliche, gli incentivi ed aiuti agli agricoltori per evitare la sovrapproduzione (causa di calo dei prezzi e oggetto di speculazione), il maggiore controllo sulle aziende per evitare impiego di manodopera in nero o minore (oltre che ulteriore controllo sui volumi prodotti). E si badi bene, il tutto nel totale rispetto del social welfare, dei poveri lavoratori, visto che sindacati e minimi salariali li ha introdotti proprio lui. Il suo successo poi dipese anche da un perfetto dialogo tra esponenti della

cultura e della ricerca e governo (oops, un miraggio qui da noi!), un lavoro di squadra per ottenere massimi risultati. Insomma tutto ciò che proprio si sta evitando di fare da noi (con la benedizione delle lacrime della Fornero però), ma anche in Grecia o Spagna. Eppure questa visione tecnicamente detta keynesiana(dal nome del grande economista inglese John Maynard Keynes), in molti la auspicano anche per l'Italia già da un pezzo (soprattutto per la parte anti-liberista). Chissà che Monti non voglia alla fine stupirci con effetti speciali.

Eppure in Europa esistono altri esempi di successo nella gestione della crisi, uno di questi (Germania a parte) è il Belgio, in cui il crack finanziario del 1993 (con debito pari al 133% del Pil) pare essere ormai un lontano ricordo. Grazie ad un Governo che in maniera tempestiva ha attuato piani efficaci. Come la vendita di oro e beni statali, la riduzione del costo del lavoro (pur eliminando parte degli sgravi fiscali dovuti dalle aziende), la diminuzione della rendita dei titoli di Stato, la creazione di un fondo unico per il sociale (evitando dispersioni e sprechi); persino attraverso l'aumento dell'Iva dell'1,5% oppure con una tassa sull'energia (soppressa nel 2000). Tutto però non toccando mai sanità o istruzione e dando sempre più maggior autonomia alle regioni. Una soluzione assolutamente roosveltiana e keynesiana, così da dimostrarne l'attualità. E l'efficacia. Tanto da meritarsi l'elogio entusiastico dell'Fmi (non proprio un pezzo di pane) con frasi del calibro di: "la performance del paese con quasi un quarto di secolo di cospicui avanzi primari è unica per gli standard dei paesi avanzati».

Allora forse anche noi ce la possiamo fare. Forse. Chissà.

E voi che ne pensate?
Barbara LG Sordi
Email barbaralgsordi@gmail.it

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