La Corte di Cassazione, con sentenza n. 13701 del 31 luglio 2012, ha stabilito che non è possibile il regresso da parte dell'Inail nei confronti del datore di lavoro, per ottenere il rimborso delle somme erogate dall'Istituto in conseguenza dell'infortunio sul lavoro subito da un dipendente, qualora possa essere esclusa l'esistenza di un nesso causale tra la verificazione dell'evento e "la condotta omissiva del datore di lavoro". Nel caso di specie la Suprema Corte ha ribadito, come già affermato da costante giurisprudenza di legittimità, che "le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro
, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso; ne consegue che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente per l'imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro
per violazione delle relative prescrizioni all'eventuale concorso di colpa del lavoratore, atteso che la condotta del dipendente può comportare l'esonero totale del datore di lavoro da responsabilità solo quando essa presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, come pure dell'atipicità ed eccezionalità, cosi da porsi come causa esclusiva dell'evento." Sulla base di tali principi i giudici di legittimità hanno precisato che la Corte territoriale, dopo aver rilevato che, sulla base delle deposizioni dei testi escussi, doveva ritenersi provato che "gli occhiali protettivi erano costantemente a disposizione dei lavoratori e, precisamente, erano posti sulla mola a portata di mano di chi operava con tale strumento", hanno ritenuto che si fosse trattato di "un'iniziativa autonoma dello Z., quella di svolgere l'attività di molatura senza munirsi degli occhiali protettivi, i quali, se indossati, avrebbero impedito alla scheggia schizzata dalla molatrice di penetrare nel suo occhio", escludendo così l'esistenza di un nesso causale tra la verificazione dell'evento e "la condotta omissiva del datore di lavoro (colpa in eligendo e in vigilando nei confronti del lavoratore)". Tale valutazione non è stata efficacemente censurata dall'Istituto ricorrente, che si è limitato - si legge nella sentenza
- "ad appuntare la contestazione sui modi con i quali il giudice di merito ha proceduto alla valutazione del fatto e delle prove e a contrapporre a tale valutazione di merito operata dalla Corte d'appello una diversa valutazione delle risultanze istruttorie, senza tuttavia individuare chiaramente il fatto controverso in relazione al quale la Corte territoriale non avrebbe motivato adeguatamente la decisione.".

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