Parlare di televisione di Stato in Italia è un po' come sparare sulla Croce Rossa, senonché quando a parlare sono i numeri per noi cittadini sparare diventa un quasi-obbligo. Numeri che sono contenuti in una relazione di ben 157 pagine redatta dalla Corte dei conti per mano magistrato Luciano Calamaro, relativi sì alla gestione 2010 (di Mauro Masi), ma che comunque non possono essere sottovalutati. Intanto la televisione di Stato in quell'anno ha portato a casa un bel buco di 98 milioni di euro, rimediato in corner nel 2011 dai neo presidente Anna Maria Tarantola e direttore Luigi Gubitosi con un non brillantissimo utile di 4,1 milioni di euro (ma volete mettere con la voragine dell'anno precedente!). A pesare sul bilancio è in primis la forza lavoro; sottolineiamo che il costo annuale del solo lavoro è di ben 1.027,8 milioni (!) di euro. I precari si sono impuntati (giustamente) e, vedendo colleghi con stipendi e contratti d'oro (giornalisti soprattutto), si sono ribellati ai contratti a termine e agli stipendi da fame; e hanno così iniziato a fare causa alla Rai. Cause che il più delle volte sono state vinte, obbligando così ad assumere a tempo indeterminato i lavoratori. Solo nel 2010 sono stati ben 1.309 i contenziosi sul lavoro, ciò significa che ben il 10% dei lavoratori Rai ha denunciato il proprio datore di lavoro: lo Stato! Questo, ovviamente, grava sulle nostre tasche. Ma non vogliamo certo attaccare i precari, quanto tutto il resto, quel 90% che è a contratto
indeterminato e con stipendi da nababbi, come la media di oltre 150mila euro dei giornalisti fissi. Per non parlare dello stipendio dei due, direttore e presidente, che hanno avuto almeno il buon gusto di auto-diminuirselo: la Tarantola che si è autoridotta rispetto ai 448mila annui del predecessore e Guitosi che si è accontentato di soli 650mila (invece dei 715mila di Masi), e per la sola durata del mandato (non a tempo indeterminato come inizialmente concordato). Vedremo se con la spending che impone di non superare tetti di 300mila annui per dirigenti pubblici, qualcosa muterà. Ma forse non in Rai, visto che già al Governo
hanno messo le mani avanti affermando che non potrà essere retroattivo. E sia mai. Solo per noi comuni mortali la retroattività è norma di vita purtroppo. A bucare ulteriormente il bilancio ci sono anche le voci nere del canone e, e chi l'avrebbe mai detto, il Festival di Sanremo. Che il canone fosse un flop credo che tutti ne fossimo già al corrente, senza bisogno che fosse la Corte dei conti a renderlo noto: basta considerare che quasi sicuramente ciascuno di noi ha un amico/ parente/ collega che non paga il canone. Non sempre per reale indigenza, ma più spesso per presa di posizione ideologica (ahimè, io lo pago, di molto in ritardo ma lo pago!). Ebbene questa evasione in blocco porta a perdite di 450 milioni all'anno, il 26,7% degli utenti non paga.
E la Rai per porre rimedio si sforza di batter cassa con nuovi abbonati (circa 400.000 all'anno), che in realtà a malapena compensano le disdette (circa 310.000). Pensando a ciò che deve finanziare il soldo pubblico, non ci si deve stupire di tante defezioni. Tra le opere somme da noi pagate, ecco appunto il Festival della canzone italiana. Un buco di oltre 20 milioni di euro che nessuno ha il coraggio di fermare, men che meno il comune di San Remo che da noi riceve ben 9 milioni per il disturbo.

Ciò dimostra che la nostra televisione è ormai un paradosso, obsoleto per di più. È l'esempio stesso di come spesso in Italia le leggi e i decreti non sempre siano uguali per tutti. Vedremo cosa potrà la spending review, visto che anche la Rai dovrà in qualche modo esserne toccata. Anche se qualche dubbio c'è. Perché la Rai è la Rai.
Barbara LG Sordi
Email barbaralgsordi@gmail.it

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