La Corte di Cassazione, con la sentenza 20 luglio 2012, n. 12697, ha affermato che non può essere destituito dal lavoro il lavoratore che aggredisce verbalmente il proprio superiore dato che tale comportamento non configura una causa di licenziamento. Infatti l'aggressione verbale costituisce si un comportamento aggressivo, ma non un'" atto di grave insubordinazione", previsto dall'art. 45, n. 11, R.D. n. 148 del 1931 ("chi si rende colpevole di vie di fatto contro superiori o di altri atti di grave insubordinazione"). Tale decisione è motivata anche dal fatto che non vi fu seguito alla discussione e che il colloquio verteva su un argomento totalmente estraneo agli obblighi di servizio del lavoratore (modalità di pensionamento) senza alcuna relazione con il dovere di osservanza delle direttive del superiore gerarchico, la cui violazione avrebbe potuto configurare l'insubordinazione. Secondo i giudici di Piazza Cavour nel caso di specie non può ravvisarsi neppure una ipotesi di giustificato motivo soggettivo di licenziamento
. L'insubordinazione, in sostanza, può concretarsi solo in caso di una violazione da parte del dipendente di quegli obblighi di diligenza e obbedienza imposti dall'art. 2104 del codice civile in base al quale: "Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall'interesse dell'impresa e da quello superiore della produzione nazionale. Deve inoltre osservare le disposizioni per l'esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall'imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende". In tal caso l'insubordinazione costituisce una giusta causa di licenziamento.

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