La seconda sezione della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha ricordato che

gli Stati aderenti alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali riconoscono il ruolo di organo giurisdizionale della Corte impegnandosi a rispettarne le decisioni e a sottostare alle sanzioni da essa comminate. Possono adire la Corte dei diritti dell'uomo sia gli Stati aderenti alla CEDU che i soggetti individuali come meglio specifica l'art. 34 della Convenzione. Il ricorso alla Corte è previsto in tutti i casi in cui si ritenga di aver subito un pregiudizio per la violazione del Trattato medesimo o di uno dei Protocolli ad essa allegati. L'intervento della Corte è sussidiario rispetto agli organi giurisdizionali interni, infatti il ricorso ad essa è possibile solo dopo aver esperito ogni tentativo di ottenere giustizia nel proprio Stato.

Detto iter è stato seguito anche da tre società italiane (Sud Fondi s.r.l, Mabar s.r.l e Iema s.r.l), le quali hanno adito la Corte per i diritti dell'uomo affinchè decidesse sulla supposta violazione della Convenzione da parte dello Stato italiano nella decisione del Tribunale di Bari di procedere con la confisca di terreni appartenenti alle ricorrenti per un totale di 75.000 metri quadrati di superficie e l'abbattimento dei fabbricati ivi eretti.

La Corte, con la sentenza del 20 gennaio 2009, ha riconosciuto come "arbitraria la confisca dei beni dei ricorrenti" alla luce dell'art. 7 della CEDU (Nessuna pena senza legge) e dell'art. 1 del Protocollo I alla Convenzione (Protezione della proprietà). Il Tribunale di Bari, infatti, aveva predisposto la confisca suddetta nella persecuzione del reato di lottizzazione abusiva a carico delle aziende, procedimento conclusosi con l'assoluzione per l'inevitabilità e la scusabilità dell'errore commesso dalle ricorrenti nell'interpretazione della legge. Il legislatore non è stato chiaro, infatti, nel delineare la fattispecie penale suddetta" non rispondente ai criteri di chiarezza, accessibilità e prevedibilità". Pertanto, in contrasto con il principio di legalità (non si può essere puniti per un fatto che non sia previsto dalla legge come reato) la fattispecie sulla lottizzazione abusiva, al momento in cui il Tribunale comminava la sanzione, non aveva una base legale.

A seguito della suddetta decisione le aziende interessate dal provvedimento hanno ritenuto di richiedere alla Corte, a norma del'art. 41 CEDU, il riconoscimento ad un'equa soddisfazione per i danni materiali e morali subiti e per le spese sostenute. L'art. 41 della Convenzione stabilisce, infatti, che se la Corte ritiene sussistente la violazione del Trattato e se lo Stato non prevede nel proprio diritto interno gli strumenti per una totale riparazione del danno, allora la Corte stessa accorda alla parte lesa un'equa soddisfazione. Lo Stato convenuto, infatti, a seguito di un accertamento di violazione ha l'obbligo giuridico di porre fine alla violazione medesima e di rimuoverne le conseguenze così da ripristinare, nei limiti del possibile, la situazione quo ante.

Nella fattispecie in oggetto la Corte ha ritenuto di poter valutare solo i danni economici subiti dalle ricorrenti condannando lo Stato italiano al pagamento di una somma totale pari a 49 milioni di Euro a titolo di risarcimento del danno materiale, rigettando l'equa riparazione nel resto. La Corte ha, inoltre, stabilito che lo Stato italiano "deve astenersi dal chiedere alle ricorrenti il rimborso delle spese di demolizione dei fabbricati confiscati e delle spese di riqualificazione".

Vai al testo integrale (tradotto) della sentenza 10 maggio 2012

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